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Trattamento cataratta

Trattamento cataratta

 

L’unico trattamento attualmente disponibile per la cura della cataratta è l’intervento chirurgico con microscopio operatorio.

 

Che cos’è?

 

L’intervento consiste nell’asportazione della parte di cristallino diventata opaca e nell’impianto di una lente sostitutiva in materiale plastico (cristallino artificiale o IOL, Intra Ocular Lens). Nella maggior parte dei casi non sono necessari punti di sutura.

 

E’ possibile utilizzare anche lenti con caratteristiche particolari:

 

multifocali, ossia capaci di mettere a fuoco a due distanze, una da lontano e una da vicino

toriche, che consentono di correggere l’astigmatismo, difetto visivo congenito per cui gli oggetti appaiono distorti e sfuocati, sia da lontano sia da vicino

asferiche, la cui forma più curva nel centro e piatta ai bordi, compensando i naturali difetti della cornea, permette una visione migliore in qualsiasi situazione migliorando la sensibilità al contrasto

filtrate, che grazie a speciali pigmenti assorbono e filtrano i raggi dannosi per la retina, tra i quali quelli solari ultravioletti.

 

L’intervento richiede un’anestesia locale con apposito collirio e viene effettuato in sale operatorie appositamente attrezzate per la day surgery.

 

 

Quali pazienti possono effettuare il trattamento della cataratta?

 

La maggior parte degli oculisti consiglia l’intervento chirurgico quando la cataratta inizia a compromettere la qualità della vita o a interferire con le normali attività quotidiane, come leggere o guidare di notte.

 

Il trattamento della cataratta è doloroso o pericoloso?

 

Oggi l’intervento di cataratta non è pericoloso, è indolore, è sufficiente  l’anestesia locale con gocce ed è di breve durata.

E’ effettuato sotto microscopio operatorio e richiede una sufficiente collaborazione del paziente. E’ sempre consigliabile non rinviare eccessivamente il momento dell’intervento per evitare che la cataratta assuma una consistenza troppo elevata.

 

 

Sono previste norme di preparazione al trattamento?

 

Il paziente deve sospendere l’assunzione di farmaci controindicati e instillare regolarmente i colliri prescritti.

E’ necessario presentarsi con il viso perfettamente lavato, senza trucco, accompagnati. E’ richiesta la presenza domiciliare di una persona valida e responsabile almeno per la prima notte.

 

Follow up

 

L’occhio operato deve restare coperto per un giorno. Dopo alcuni giorni si ha già un recupero visivo soddisfacente che dopo 10-15 giorni può definirsi completo e permette eventuali correzioni dei difetti visivi residui.

In taluni casi, a distanza di mesi o anni, è possibile l’opacizzazione della capsula in cui è inserito il cristallino artificiale (la cataratta secondaria): un veloce trattamento ambulatoriale con uno specifico laser (YAG laser) risolve il problema definitivamente.

 

Trapianti di cornea

Trapianti di cornea

 

Quando la cornea perde in maniera irreversibile la sua trasparenza o diventa fortemente irregolare o ancora rischia di perforarsi e le terapie meno invasive non risolvono il problema, è necessario sostituirla mediante l’intervento chirurgico di trapianto di cornea, detto anche cheratoplastica.

 

Cosa sono i trapianti di cornea?

 

L’intervento consiste nella sostituzione della cornea malata o di una sua parte con quella proveniente da un donatore. Diversamente dal passato recente, quando l’unico intervento disponibile consisteva sempre nella sostituzione del tessuto a tutto spessore, oggi possiamo decidere di sostituire soltanto la parte di tessuto malato, lasciando intatti i rimanenti strati della cornea. Ciò ha permesso di ridurre l’aggressività chirurgica, i rischi di rigetto ed accelerare il recupero funzionale. A seconda dello strato corneale compromesso (stroma, endotelio) possiamo pianificare un trapianto selettivo del tessuto patologico, lamellare anteriore profondo (DALK – Deep Anterior Lamellar Keratoplasty), in cui viene sostituita la sola porzione anteriore della cornea senza perforare il bulbo oculare oppure un trapianto di solo endotelio corneale (DSAEK – Descemet Stripping Automated Endothelial Keratoplasty) lasciando intatta la porzione più superficiale sana.

 

Il trapianto di cornea a tutto spessore (PK o cheratoplastica perforante) viene tuttora riservato a tutti i casi in cui la compromissione corneale è intervenuta a tutti i livelli o ha determinato danni tissutali che non rendono praticabili le altre due tecniche descritte. In casi estremi può avere come unico scopo quello di evitare una perforazione imminente o porvi rimedio in urgenza al fine di eliminare le soluzioni di continuità tra le strutture oculari interne ed il mondo esterno (trapianto a scopo tettonico).

 

La scelta della tecnica indicata spetta al medico oculista dopo una valutazione complessiva del quadro clinico. Le cornee donate vengono prelevate da cadavere, accuratamente selezionate, conservate in terreno di coltura ed inviate all’ospedale che ne faccia richiesta da parte delle BANCHE DELLE CORNEE, che certificano la qualità del tessuto inviato. Ciò consente di pianificare con anticipo gli interventi e garantire una elevata qualità dei tessuti da trapiantare.

Il trapianto di cornea ha lo scopo prioritario di ripristinare la anatomia corneale e si pone come obbiettivo quello di migliorare la funzione visiva alterata dalla ridotta trasparenza e/o regolarità del tessuto.
Come funzionano i trapianti di cornea?

 

L’intervento è programmabile con discreto anticipo anche se la pianificazione dipende dalla disponibilità di tessuti da parte delle banche delle cornee. L’intervento viene effettuato in anestesia locale o generale, su indicazione del chirurgo e degli anestesisti, con ricovero. Il paziente viene sottoposto a verifica dell’assenza di controindicazioni nell’imminenza dell’intervento. Una volta effettuato l’intervento pianificato, in assenza di complicanze, è prevista una degenza variabile da uno a tre giorni, il cui scopo è quello di verificare in ambiente protetto ed in condizioni di sicurezza il decorso post-operatorio.

 

Quali sono i vantaggi dei trapianti di cornea?

 

Per quanto standardizzata e seguita da soddisfacenti risultati, l’operazione di trapianto di cornea non sfugge alla regola generale secondo la quale non esiste una chirurgia senza rischi. Non è dunque possibile garantire in modo formale il successo dell’intervento né l’assenza di complicanze, la cui incidenza è condizionata anche dal tipo e dal grado di evoluzione della patologia. L’indicazione a trapianto di cornea per queste ragioni deve venire posta in assenza di terapia mediche o chirurgiche meno invasive altrettanto efficaci.

 

I trapianti di cornea sono dolorosi o pericolosi?

 

L’intervento non è doloroso e viene per lo più eseguito in anestesia generale. In seguito all’intervento l’occhio operato è più o meno arrossato e dolente si possono avvertire sensazioni di corpo estraneo, bruciore, fastidio, lacrimazione, fluttuazioni visive, aloni, che tendono poi a ridursi progressivamente. Trattandosi di un intervento chirurgico, sono possibili complicanze prima, durante e dopo l’intervento. Esiste un elevato rischio di infezione, che solo una accuratissima attenzione all’igiene personale e oculare può ridurre drasticamente o eliminare.

 

Il trapianto di cornea comporta un rischio di rigetto per tutta la vita. Tale fenomeno, la cui frequenza si riduce sensibilmente dopo i primi 5 anni può comportare una grave e irreversibile infiammazione della superficie oculare e in assenza di una terapia tempestiva o per la gravità della sua manifestazione, il ricorso a nuovo trapianto di cornea.

 

Quali pazienti possono effettuare i trapianti di cornea?

 

Possono sottoporsi a trapianto di cornea pazienti di tutte le età, affetti da patologie corneali che non consentano opportunità terapeutiche meno invasive di pari efficacia e che abbiano ottenuto il consenso anestesiologico alla chirurgia.

 

Follow up

 

Controlli postoperatori, inizialmente più frequenti, sono necessari per un periodo di tempo prolungato. Se i controlli non vengono effettuati secondo le prescrizioni il risultato dell’intervento può essere compromesso. Dopo l’intervento è spesso presente un astigmatismo residuo, al fine di ridurre il quale abbiamo messo a punto una nuova metodica di tensionamento della sutura sotto guida topografica intraoperatoria che riduce di molto l’astigmatismo post-operatorio fin dai primi giorni dopo l’intervento.

 

A circa 18 mesi dall’intervento si procede alla rimozione della sutura, in seguito alla quale il riassestamento della cornea può causare la comparsa di difetti visivi quali astigmatismo, miopia o ipermetropia non prevedibili.

Il miglioramento visivo non è immediato., ma vviene lentamente nell’arco di diverse settimane ed è legato all’attecchimento ed alla vitalità della cornea trapiantata, alla sua trasparenza, alla presenza di astigmatismo residuo e dalle condizioni di salute degli altri distretti (retina, cristallino ecc.) dell’occhio operato. La presenza di altre lesioni dell’occhio, infatti, può limitare il recupero della vista.

 

Sono previste norme di preparazione all’intervento?

 

In preparazione all’intervento è necessario verificare la assenza di concomitanti patologie e/o infezioni oculari e in altri distretti corporei che elevino il rischio chirurgico. Il paziente deve presentarsi la mattina dell’intervento a digiuno.

Cross-Linking Corneale (CXL)

Cross-Linking Corneale (CXL)

 

Il Cross-Linking Corneale (CXL) si è affermato negli ultimi anni come terapia di elezione del cheratocono in grado di evitare nella maggior parte dei casi il trapianto di cornea. Si tratta di un trattamento parachirurgico “a bassa invasività” che consiste in un “rinforzo” della cornea ottenuto mediante l’effetto combinato di vitamina B2 e raggi ultravioletti.  L’Istituto Clinico Humanitas fin dal 2006, è stato unico centro di riferimento italiano del primo studio multicentrico internazionale europeo, sotto la direzione del Dottor Paolo Vinciguerra.

 

 

Che cos’è il Cross-linking Corneale (CXL)?

 

Il metodo anche noto come “fotodinamica corneale” è una terapia parachirurgica che ha come obiettivo quello di aumentare la connessione fra le fibre e la loro resistenza. Esse compongono la cornea, ed in questo modo si contrasta e in buona parte dei casi si arresta l’evoluzione del cheratocono.

 

Il CXL prevede una prima fase di “impregnazione” della cornea, mediante istallazione di gocce di collirio a base di riboflavina, la vitamina B2; successivamente si procede alla fase di “irradiazione” esponendo il tessuto corneale ad un fascio laser di raggi ultravioletti di tipo A (UVA) a basso dosaggio. Grazie all’azione combinata della vitamina B2 e dei raggi UVA si ottiene un aumento dei ponti molecolari che conferiscono maggiore resistenza agli strati più interni della cornea, rendendola più rigida e meno soggetta al processo di sfiancamento, caratteristico del cheratocono.

 

 

Come funziona il Cross-Linking Corneale (CXL)?

 

Esistono due modalità di trattamento con e senza rimozione dell’epitelio. Il medico indica il trattamento idoneo al paziente.

L’intervento è ambulatoriale ed effettuato in anestesia in gocce. Il paziente dopo l’intervento può tornare a casa e deve essere accompagnato. Nei 2-3 giorni successivi al trattamento si può presentare una sintomatologia caratterizzata da dolore intenso, sensazione di corpo estraneo, fotofobia. Dopo l’intervento occorre osservare almeno due giorni di riposo (preferibilmente a letto, in un ambiente poco luminoso).

 

Nei giorni seguenti è importante evitare la lettura, la TV e gli agenti infastidenti (luce, polvere, ecc), avendo cura di dormire almeno 10-12 ore per notte. La terapia postoperatoria prevede l’utilizzo di antidolorifici per ridurre tale sintomatologia.

Nei trattamenti senza rimozione dell’epitelio sintomi sono quasi assenti e il recupero più rapido.

 

 

Quali sono i vantaggi del cross-linking corneale (CXL)?

 

Quando ve ne sia indicazione è molto importante intervenire precocemente poiché il Cross-Linking è in grado arrestare l’evoluzione del cheratocono a partire dal momento in cui viene esso trattato. L’intervento di UVA Cross-Linking corneale non sfugge alla regola generale secondo la quale non esiste una chirurgia senza rischi.  Trattandosi di un intervento chirurgico a bassa invasività ed a bulbo chiuso, i rischi di grave compromissione funzionale connessi con la chirurgia intraoculare sono esclusi anche se sono possibili complicanze prima, durante e dopo l’intervento che possono condizionare il recupero funzionale della vista.

 

Il cross-linking corneale (CXL) è doloroso o pericoloso?

 

Il trattamento non è doloroso, dura meno di un’ora, durante la quale il paziente viene fatto accomodare disteso su di un lettino. L’intervento avviene in sala operatoria in ambiente sterile. Al termine dell’intervento viene applicata una lente a contatto. Il rischio di complicazioni, non eliminabile, dipende dalla gravità della patologia oculare pre-operatoria e dalla collaborazione che il paziente presta nell’eseguire le indicazioni post-operatorie impartite.

 

Quali pazienti possono effettuare il cross-linking corneale (CXL)?

 

Tutti i pazienti che presentino l’indicazione al trattamento. Anche i bambini possono essere sottoposti all’intervento, In questo caso la repentina progressione della malattia consiglia una estrema precocità nel trattamento.

 

Follow up

 

E’ essenziale l’esecuzione di periodici controlli post-operatori nei mesi successivi al trattamento, a cadenza quotidiana fino alla rimozione della lente a contatto. Il paziente esegue i successivi controlli, che devono comprendere: topografia corneale, tomografia corneale, conta endoteliale ed OCT del segmento anteriore. I controlli vanno effettuati ad un mese, tre mesi, sei mesi e ad un anno dall’intervento. A causa dell’assestamento post-operatorio degli strati più superficiali della cornea (epitelio), la valutazione dei risultati conseguiti va eseguita ad almeno un mese dal trattamento. I pazienti sottoposti a cross-linking possono riprendere l’uso di lenti a contatto a partire da 40gg dopo l’intervento e previo parere favorevole dell’oculista curante.

 

Sono previste norme di preparazione all’intervento?

 

Il giorno del trattamento è preferibile presentarsi con un accompagnatore, in considerazione del fatto che dopo il trattamento non si potrà, essenzialmente per ragioni di sicurezza stradale, procedere alla guida di autoveicoli.

Chirurgia refrattiva con laser a eccimeri

Chirurgia refrattiva con laser a eccimeri

 

La chirurgia refrattiva con laser ad eccimeri è una tecnica chirurgica sicura ed efficace grazie alla quale si possono correggere i difetti di vista (miopia, astigmatismo, ipermetropia) applicando il trattamento sulla superficie corneale. La capacità del laser di rimuovere parti microscopiche con estrema precisione viene sfruttata per “rimodellare” la curvatura corneale, così facendo è possibile eliminare o ridurre difetti comuni della vista come miopia, ipermetropia e astigmatismo eliminando la necessità di indossare a vita occhiali e lenti a contatto.

 

Il laser ad eccimeri può correggere i difetti visivi mediante la vaporizzazione a freddo del tessuto corneale in modo mirato.  Questo può avvenire in superficie con vari metodi: PRK, LASEK, epiLASIK e ASA che si differenziano l’una dall’altra solo per la preparazione preliminare all’azione del laser, o in profondità dopo avere tagliato e sollevato uno strato superficiale di cornea. L’applicazione del laser a eccimeri che segue è identica per i due trattamenti.

Il fronte avanzato di questa chirurgia sono i trattamenti customizzati, cioè un rimodellamento della cornea mediante laser ad eccimeri che tiene conto delle caratteristiche individuali e spesso consente una visione migliore rispetto ai trattamenti standardizzati.

 

Che cos’è la chirurgia refrattiva con laser a eccimeri?

 

Il laser a eccimeri permette di rimuovere parti microscopiche del tessuto della cornea modificando la forma della zona più importante per la messa a fuoco (zona ottica) e migliorando anche il profilo della cornea periferica circostante. Grazie all’energia creata dal laser si produce una “evaporazione” del tessuto bersaglio senza danneggiare i tessuti circostanti. Il tessuto viene asportato con una precisione straordinaria, impossibile per la mano umana, nell’ordine del micron (millesimo di millimetro) per ogni colpo emesso e con una riproducibilità non raggiungibile a tutt’oggi da nessun altro mezzo.

 

Come funziona la chirurgia refrattiva con laser a eccimeri?

 

Il giorno dell’intervento il medico specializzato eseguirà un controllo del vostro stato di salute ed eseguirà un ulteriore controllo di sicurezza dei dati della vostra cartella clinica.  Questi controlli fanno parte della filosofia di Humanitas che tutela la vostra sicurezza verificando più volte, mediante “check list” dedicate, i vostri dati clinici. Una volta finiti gli accertamenti il nostro personale infermieristico dedicato si prenderà cura di somministravi le terapie indicate dal vostro chirurgo e di fare la preparazione all’intervento.

 

I pazienti possono mangiare e bere normalmente prima del trattamento.

È importante essere  struccate e non profumate (i vapori di alcool infatti possono interferire con il raggio laser) ed evitare profumi e dopobarba alcolici.

È senz’altro consigliabile presentarsi con un accompagnatore tenendo in considerazione che dopo il trattamento non è consigliabile la guida; la lacrimazione unita all’insofferenza alla luce la renderebbe pericolosa.

È inoltre importante riportare tutti gli esami preliminari eseguiti in precedenza.

Normalmente l’intervento viene eseguito per entrambi gli occhi nella stessa seduta operatoria.  In casi particolari il chirurgo può decidere di eseguire gli interventi separatamente in due sedute diverse.

 

Tutte le tecniche vengono abitualmente eseguite in ambulatorio, con anestesia topica (gocce).

È importante sospendere l’utilizzo delle lenti a contatto per almeno 7 giorni prima della visita per riportare le caratteristiche oculari nel modo più inalterato possibile.

Prima dell’intervento è preferibile sospendere le lenti a contatto per almeno 4 giorni.

 

Quali sono i vantaggi della chirurgia refrattiva con laser a eccimeri?

 

Dopo oltre 20 anni di esperienza l’incidenza di complicanze legate all’intervento è estremamente bassa. La chirurgia refrattiva è un trattamento estremamente preciso e oggi può essere considerata una tecnica efficace e sicura, perché l’intervento elimina o riduce marcatamente i difetti di vista nella maggior parte dei pazienti.

 

Questi risultati si ottengono se gli interventi sono eseguiti da chirurghi ben preparati ed in centri altamente specializzati. È fondamentale che l’equipe sia formata da professionisti esperti che eseguano un’approfondita valutazione e selezione del paziente e sappiano escludere i pazienti non idonei all’intervento, selezionando solo i casi in qui si può attendere un buon risultato.

Va rilevato che ogni atto di chirurgia refrattiva quale che sia la tecnica adoperata, si rivolge alla risoluzione dei soli difetti di refrazione ma non modifica quelle patologie che possono essere associate al difetto di vista. Ad esempio un miope con alterazioni retiniche che compromettono parte della sua funzionalità visiva non può sperare di vedere risolto questo problema da un intervento chirurgico a scopo refrattivo né l’intervento può costituire un trattamento preventivo per eventuali, possibili, successive complicanze retiniche.

 

Guarda il video in cui il Dott. Paolo Vincigurra, responsabile di Humanitas Centro Oculistico, spiega la chirurgia refrattiva con laser ad eccimeri.

Miomectomia (Asportazione di fibromi uterini)

Miomectomia (Asportazione di fibromi uterini)

 

La rimozione dei fibromi uterini per via laparoscopica ha trovato il massimo sviluppo negli anni novanta. Anche se ancora molto diffusa la miomectomia per via laparotomica. Alla base della scelta chirurgica di eseguire ancora oggi la miomectomia laparotomica ci sono l’esperienza del chirurgo ginecologo e la qualità della sutura, ma è dimostrato che la sutura laparoscopica ha le stesse caratteristiche di quella eseguita con laparotomia. La sutura con il robot inoltre riduce il tempo totale dell’intervento e il sanguinamento del muscolo uterino.

Laparoscopia ginecologica

Laparoscopia ginecologica

 

E’ una tecnica chirurgica che non prevede l’incisione estesa della parete addominale, ma piccole incisioni pari a circa 5 millimetri. Attraverso le incisioni vengono introdotti gli strumenti laparoscopici, identici a quelli usati per la chirurgia tradizionale, ma miniaturizzati. Diventa quindi possibile incidere, coagulare, posizionare clips emostatiche e altro.

 

La tecnologia si è evoluta a tal punto da consentire di eseguire l’esecuzione di interventi complessi quali la resezione del retto per endometriosi, l’asportazione di uteri anche con voluminosi fibromi, cisti ovariche di qualsiasi natura o quelli oncologici dove risulta saltuariamente necessario rimuovere anche i linfonodi pelvici e lombo-aortici.

 

La chirurgia laparoscopica è indicata per:

-patologia delle ovaie e salpingi

-endometriosi

-patologia dell’utero

-prolasso genitale e incontinenza urinaria

-isteroscopia

 

Laparoscopia dell’ovaio

Laparoscopia dell’ovaio

 

Il trattamento per tumore dell’ovaio in età giovanile o in età fertile (tumore ovarico “borderline”) può essere affrontato per via laparoscopica asportando non solo la malattia dall’ovaio (cisti ovarica complessa) ma anche i tessuti dove più frequentemente si possono formare metastasi (appendice, omento peritoneo).

L’approccio laparoscopico per questo tumore è dimostrato essere sicuro e nella maggior parte dei casi il taglio sull’addome è superfluo.

 

L’intervento prevede la conservazione dell’ovaio e dell’utero.

Embolizzazione dei fibromi uterini

Embolizzazione dei fibromi uterini

 

L’embolizzazione dei fibromi uterini è un’alternativa mini-invasiva alla chirurgia per l’eliminazione dei fibromi uterini che consiste nell’occludere in modo selettivo i vasi sanguigni che apportano nutrimento ai fibromi.

 

Che cos’è l’embolizzazione dei fibromi uterini?

 

L’embolizzazione dei fibromi uterini viene effettuata tramite l’impiego di materiali embolizzanti che sono introdotti mediante catetere. La procedura è eseguita generalmente in anestesia locale e il catetere è inserito sotto controllo radiologico.

 

Come si svolge l’embolizzazione dei fibromi uterini?

 

L’intervento si svolge in sala angiografica in condizioni di sterilità. Dopo aver somministrato alla paziente un’anestesia locale, viene incannulata l’arteria femorale e successivamente l’arteria uterina. Una volta posto il catetere nell’arteria uterina è possibile procedere con l’embolizzazione selettiva per far sì che la sostanza embolizzante utilizzata vada ad occludere l’area vascolare peritumorale. Dopo essersi assicurato della riuscita della devascolarizzazione il medico sfila il catetere e appone una medicazione compressiva sul punto d’ingresso del catetere nella cute. In caso di grossi fibromi è utile l’anestesia epidurale. L’intervento dura in media un’ora.

 

Quali sono i vantaggi e gli svantaggi dell’embolizzazione dei fibromi uterini?

 

Il principale vantaggio di questo trattamento consiste nella marcata riduzione dimensionale dei fibromi uterini senza dover ricorrere all’intervento chirurgico.

Il principale svantaggio di questo trattamento è l’amenorrea (in alcuni casi transitoria, in altri permanente) che si registra in una piccolissima percentuale di pazienti in seguito a questo tipo di trattamento.

 

L’embolizzazione dei fibromi uterini è dolorosa o pericolosa?

 

Essendo una procedura che prevede l’inserimento di un catetere l’embolizzazione dei fibromi uterini può provocare fastidi e dolore addominale.  È considerata, comunque, una procedura mininvasiva rispetto alla chirurgia classica cosiddetta “a cielo aperto” (prima dell’avvento dell’embolizzazione dei fibromi uterini era l’unica possibilità di rimozione dei fibromi stessi).

 

Quali pazienti posso effettuare l’embolizzazione dei fibromi uterini?

 

Non tutte le donne con fibromi uterini possono sottoporsi alla tecnica di embolizzazione dei fibromi.

Sussistono controindicazioni nel caso di:

-presenza di fibromi uterini non sintomatici;

-menometrorragie (abbondante sanguinamento uterino che si verifica sia durante le mestruazioni che nei periodi intermestruali) legate a patologie maligne;

-donne in trattamento ormonale con progestinici;

-donne con controindicazioni al cateterismo;

-donne in gravidanza;

 

particolare attenzione deve essere prestata alle pazienti con ipersensibilità o allergia ai mezzi di contrasto utilizzati per monitorare l’inserimento del catetere (che avviene sotto guida radiologica).

 

Possono invece sottoporsi a questo trattamento le donne con fibromi sintomatici che non siano peduncolati, con persistente sintomatologia emorragica o una sintomatologia che ne minacci l’integrità fisica (gravi emorragie), con presenza di un rischio anestesiologico e operatorio elevato controindicante l’approccio chirurgico classico.

 

Follow-up

 

Dopo l’embolizzazione è molto probabile la comparsa di dolore pelvico che richiede un trattamento antidolorifico appropriato. Quando i fibromi hanno un diametro di 10-12 cm è possibile osservare una sintomatologia ritardata in 3a – 5a giornata, caratterizzata da dolore pelvico-addominale associato a sintomi come reazione peritoneale, nausea e febbre che può persistere per qualche giorno. Generalmente, se i fibromi sono di diametro inferiore agli 8 cm la dimissione avviene il giorno successivo all’intervento.  La paziente sarà controllata ogni due mesi (poi a sei mesi, a 12 mesi e infine una volta all’anno) dopo aver eseguito un eco-color-doppler per monitorare la riduzione del volume del fibroma e la scomparsa della rete vascolare peritumorale; un emocromo per monitorare l’anemia e i tassi di creatina fosfocinasi (CPK) verifica la riduzione volumetrica del fibroma.

 

Ci sono norme di preparazione all’intervento?

 

Prima di sottoporsi a questo esame la paziente dovrà essere a digiuno di cibi solidi da almeno 8 ore, ma è consentito bere piccole quantità di liquidi (acqua non gassata o tè). La paziente si recherà in sala radiologica con un accesso venoso periferico.

Chirurgia robotica ginecologica

Chirurgia robotica ginecologica

 

La chirurgia robotica rappresenta la nuova frontiera della chirurgia mini-invasiva. Il robot Da Vinci, uno dei robot chirurgici più diffusi al mondo, conferisce al gesto chirurgico una precisione non ottenibile con altre tecniche; si possono superare i limiti legati alla difficoltà di trattare con la laparoscopia patologie in sedi anatomiche difficili da raggiungere estendendo ad interventi complessi – con la stessa qualità ed efficacia della chirurgia tradizionale – i benefici della mini-invasività: nessuna cicatrice estesa sull’addome, ridotto tempo operatorio, minor anestesia e ripresa più rapida.

L’evoluzione della chirurgia laparoscopica è un robot che, oltre ad offrire i vantaggi della chirurgia mini-invasiva, è supportato da una strumentazione che permette di superare i limiti degli strumenti offerti dalla chirurgia laparoscopica stessa. Il robot utilizzato in Humanitas è tra le versioni più evolute, con quattro bracci e visione tridimensionale ad alta definizione.

L’intervento con il robot evita il taglio sull’addome anche per interventi ginecologici oncologici.

 

La chirurgia robotica può essere applicata nei seguenti casi:

-Anastomosi (chirurgia delle tube o salpingi)

-Miomectomia

-Interventi per tumori all’utero

-Promontosacropessia

-Endometriosi

 

Caratteristiche e vantaggi della chirurgia robotica

 

Il robot da Vinci è un sistema integrato costituito da due parti:

-Console chirurgica: la console chirurgica è il centro di controllo del robot in sala operatoria. Il chirurgo è seduto alla console e, attraverso dei manipoli che compiono movimenti a 360 gradi, comanda gli strumenti chirurgici. Attraverso il visore il chirurgo vede, in visione tridimensionale, tutto ciò che la telecamera inquadra.

-Carrello chirurgico: è  il vero e proprio robot ed è localizzato al tavolo operatorio.

 

I bracci del robot montano gli strumenti chirurgici e al tavolo operatorio sono presenti gli assistenti che coadiuvano le fasi dell’intervento.

 

Aspetti tecnico-operativi

 

Gli strumenti robotici vengono introdotti nell’addome attraverso cannule da 8 mm (trocars), fissati tramite sicure ai bracci del carrello chirurgico. Gli strumenti, in continua evoluzione, sono estremamente versatili nei loro movimenti: la loro articolazione permette sette movimenti sul proprio asse, con angolature di 90° che, in casi particolari, agevolano il raggiungimento di spazi anatomici ristretti e profondi.

 

Vantaggi generali della chirurgia robotica

 

Tutti gli interventi che possono essere eseguiti con la tecnica laparoscopica possono essere eseguiti con l’ausilio del robot, evitando così il taglio sull’addome e rispettando l’integrità corporea della donna. Con la chirurgia robotica si sono ridotti i tempi operatori (ridotta anestesia e minore stress fisico per la paziente).

L’utilizzo del robot risulta particolarmente vantaggioso nella chirurgia pelvica, quindi in ginecologia (endometriosi setto retto-vaginale, intestinale) e nella chirurgia di pazienti obese, dove l’ingombro intestinale restringe il campo di azione.

La visione tridimensionale del robot aiuta il chirurgo a visualizzare meglio nervi, vasi ed alcune strutture legamentose.

Chirurgia del prolasso genitale

Chirurgia del prolasso genitale

 

Lo standard di cura del prolasso genitale è il trattamento chirurgico per via vaginale.  L’intervento per via addominale per la cura della recidiva del prolasso genitale si effettua quando la prima chirurgia ha rimosso il viscere uterino,e consiste nel posizionamento di una rete (promontosacropessia). Negli anni ‘90 si è diffusa la procedura per via laparoscopica che incrementa i tempi operatori ma ha i vantaggi della chirurgia mini-invasiva. Evitare la laparotomia in pazienti nelle quali viene posizionata una rete permanente riduce significativamente l’incidenza di infezioni peritoneali ed elimina il rischio del laparocele (ernia dell’addome dovuta al taglio). La promontosacropessia prevede l’ancoraggio di una rete alla vagina (parete posteriore, cupola vaginale e parete anteriore) ed il successivo fissaggio al promontorio sacrale.

I giorni di degenza sono ridotti (tre in media) e l’intervento con il robot permette una ridotta invasività anestesica per la paziente.

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