HOW CAN WE HELP YOU?

Main contact
+39 02 8224 7044(Outpatient Appointments)
+39 02 8224 7042(Inpatient Admissions)

If you need more information, please contact us by phone.

Centers

Check up & Diagnostics
02 8224 8224
Cardio Center
02 8224 4330

Riabilitazione da rottura del legamento crociato anteriore

Riabilitazione da rottura del legamento crociato anteriore

 

Dopo la chirurgia di riparazione del legamento crociato anteriore, è essenziale seguire un programma di riabilitazione mirato per assicurare il migliore recupero funzionale del ginocchio. Il recupero articolare e muscolare deve essere impostato e controllato periodicamente dal chirurgo ortopedico che, a sua volta, si avvale dell’ausilio di un fisioterapista. La fase della riabilitazione è delicata perché il paziente deve eseguire una serie di esercizi per rinforzare la muscolatura e recuperare movimento e coordinazione, senza però provocare sovraccarichi che potrebbero allentare o rompere il neo-legamento.

Normalmente il programma riabilitativo dura tre – quattro mesi. Successivamente è consigliabile continuare un programma di esercizi per mantenere la tonicità muscolare e recuperare la coordinazione motoria.

La ripresa sportiva è consigliabile solo dopo il completo recupero articolare e muscolare e, di norma, non è consentita prima di sei mesi dopo l’intervento chirurgico.

Onde d’urto: litotritore con generatore elettromagnetico

Onde d’urto: litotritore con generatore elettromagnetico

 

Indicato per i trattamenti con onde d’urto sia ad alta energia sull’osso sia a più bassa energia, eseguiti sui “tessuti molli” e in particolare sui tendini, si tratta di un litotritore dotato di un sistema di puntamento di precisione, collegato ad un braccio articolato e movibile in parte automaticamente. Questo consente di puntare il bersaglio da trattare con estrema precisione (es. una pseudoartrosi), aumentando le probabilità di successo della terapia.

Il riconoscimento del “bersaglio” anatomico da trattare può essere eseguito sia tramite controllo ampliscopico (un breve “flash” radiografico), sia tramite controllo ecografico, praticato simultaneamente ed in linea con la direzione di emissione del “fronte” di onde d’urto.

Questo tipo di controllo ecografico, detto “in-line” (poiché il fascio ecografico degli ultrasuoni utile per riconoscere la regione anatomica da trattare è parallelo ed interno alla sorgente di produzione ed avanzamento delle onde d’urto stesse), consente all’operatore di visualizzare istante per istante, con precisione, la posizione di applicazione delle onde d’urto stesse.

 

Onde d’urto: litotritore con applicatore “defocalizzato”

Onde d’urto: litotritore con applicatore “defocalizzato”

 

Oltre alla cura con onde d’urto di tendini e muscoli, questo litotritore permette anche di trattare ulcere, “ferite difficili” e cicatrici chirurgiche dolorose.

È dotato di generatore elettroidraulico di ultima generazione, ed essendo di dimensioni contenute e manovrabile manualmente, consente di muoversi su regioni anatomiche anche ampie, adattandosi alle diverse superfici corporee e trattando eventualmente anche tutti i punti dolorosi, compresi anche i cosiddetti “trigger points”, ovvero punti di particolare concentrazione del dolore.

Inoltre, cambiando il tipo di applicatore (con emissione di onde d’urto defocalizzate), consente di eseguire i diversi tipi di trattamento per stimolare la rigenerazione dei tessuti cutanei (ulcere, “ferite difficili” e cicatrici dolorose).

 

Onde d’urto per la rigenerazione dei tessuti

Onde d’urto per la rigenerazione dei tessuti

 

Mentre in alcuni casi le onde d’urto vengono utilizzate a scopo puramente “palliativo”, per via delle loro proprietà antidolorifiche, in altri casi le onde d’urto focali hanno un vero e proprio effetto “curativo” (guariscono cioè dall’infiammazione e/o rigenerano i tessuti).

Negli anni più recenti infatti, oltre a chiarirsi le modalità di azione antiinfiammatoria, è stata scoperta anche la capacità delle onde d’urto di promuovere la formazione di nuovi piccoli vasi sanguigni (neoangiogenesi), azione indispensabile per la rigenerazione dei tessuti, con possibilità di applicazione pratica nel trattamento delle ulcere cutanee di varia origine e patologie affini (es. ferite “difficili” e perdite di sostanza post-traumatiche).

Nel caso della rigenerazione tissutale, l’applicazione dell’onda d’urto serve ad innescare un processo curativo che si completerà nel corso delle settimane successive. Il risultato è simile a quello ottenuto con un intervento chirurgico, ma con l’indubbio vantaggio di ricevere un trattamento non invasivo.

Cardiomiopatia dilatativa

Cardiomiopatia dilatativa

 

La cardiomiopatia dilatativa è una malattia che colpisce il muscolo cardiaco e che compromette la capacità del cuore di pompare efficientemente il sangue verso il resto dell’organismo.

Che cos’è la cardiomiopatia dilatativa?

La cardiomiopatia dilatativa è una patologia che colpisce in particolare il ventricolo sinistro, la parte del cuore che manda il sangue al resto dell’organismo tramite l’aorta. Si manifesta con un ingrossamento del ventricolo, correlato a una ridotta capacità di pompare il sangue (insufficienza cardiaca “sistolica” o “con bassa frazione di eiezione”). Nonostante in alcuni casi possa essere asintomatica, la cardiomiopatia dilatativa è una malattia che deve essere trattata in tempo, altrimenti si può arrivare a scompenso cardiaco, una sindrome caratterizzata dall’accumulo di liquidi nei polmoni (congestione polmonare), nell’addome, nelle gambe e nei piedi, insufficienza (ossia incontinenza) valvolare mitralica e/o tricuspidale secondaria alla dilatazione ventricolare, embolie, e aritmie che possono anche provocare morte improvvisa.

Da cosa può essere causata la cardiomiopatia dilatativa?

In molti casi non si può risalire alle cause dell’ingrossamento del cuore, per cui la cardiomiopatia dilatativa viene definita idiopatica. Il cuore può ingrossarsi per diversi motivi: mutazioni genetiche, difetti congeniti, infezioni, abuso di alcol o di sostanze stupefacenti, alcuni chemioterapici, esposizione a sostanze tossiche come il piombo, il mercurio e il cobalto, e malattie cardiovascolari come la cardiopatia ischemica e l’ipertensione arteriosa.

Con quali sintomi si manifesta la cardiomiopatia dilatativa?

Generalmente i sintomi della cardiomiopatia dilatativa sono quelli dello scompenso cardiaco oppure sono determinati da aritmie e possono comprendere pallore cutaneo, debolezza, facile faticabilità, respiro affannoso in condizione di sforzi a volte anche modesti o quando si è sdraiati, o si ha tosse secca persistente (in particolare da sdraiati), gonfiore addominale, delle gambe, dei piedi e delle caviglie, aumento improvviso di peso causato dalla ritenzione idrica, perdita di appetito, palpitazioni, capogiri o svenimenti.

Come prevenire la cardiomiopatia dilatativa?

È possibile ridurre il rischio di insorgenza di una cardiomiopatia dilatativa evitando il fumo, consumando alcol solo con moderazione, non facendo uso di sostanze stupefacenti, mantenendo il giusto peso e seguendo un regime alimentare sano ed equilibrato e un’attività fisica regolare adatta alle proprie condizioni di salute.

Diagnosi

In presenza dei sintomi di una possibile cardiomiopatia dilatativa il medico può prescrivere i seguenti esami:

Analisi del sangue: è possibile dosare il BNP (brain natriuretic peptide), che risulterà elevato in presenza di scompenso cardiaco; è possibile che si verifichino alterazioni degli indici di funzione epatica e renale, espressione della sofferenza di questi organi dovuta all’insufficienza cardiaca; nei casi più gravi sono presenti iposodiemia e anemia.

Radiografia del torace (RX torace): fornisce due importanti informazioni, la prima che riguarda le dimensioni del cuore e la seconda che interessa la presenza e il grado della congestione polmonare.

ECG: registra l’attività elettrica del cuore. Può presentare molteplici alterazioni, tra cui segni di pregresso infarto miocardico o segni di sovraccarico (affaticamento da “iperlavoro”) del ventricolo sinistro o aritmie.

Ecocardiogramma: è un test di immagine effettuato per visualizzare le strutture del cuore e il funzionamento delle sue parti mobili. Utilizzando una sonda appoggiata sulla sua superficie, l’apparecchio trasmette un fascio di ultrasuoni al torace e rielabora gli ultrasuoni riflessi che tornano alla stessa sonda dopo aver interagito in modo diverso con i vari elementi che compongono la struttura cardiaca (miocardio, valvole, cavità). Rappresenta l’esame cardine, in quanto consente di valutare le dimensioni e lo spessore delle pareti delle camere cardiache, la funzione contrattile (misurata con un parametro chiamato “frazione di eiezione”) e il funzionamento delle valvole, e di fare una valutazione della pressione polmonare.

Test da sforzo con consumo di ossigeno: l’esame è costituito dalla registrazione di un elettrocardiogramma nel momento in cui il paziente sta compiendo un esercizio fisico, solitamente mentre cammina su un tapis roulant o pedala su una cyclette; viene inoltre applicato un boccaglio per misurare i gas espirati. Per eseguire questo test vengono rispettati dei protocolli predefiniti. Consente di ricevere molteplici informazioni, tra cui le più importanti sono la resistenza all’esercizio del soggetto in esame e la comparsa di segni di ischemia sotto sforzo.

Coronarografia: è l’esame attraverso cui si possono visualizzare le coronarie effettuando un’iniezione di mezzo di contrasto radiopaco al loro interno. L’esame viene effettuato in un’apposita sala radiologica, nella quale vengono scrupolosamente seguite tutte le misure di sterilità necessarie. L’iniezione del contrasto nelle coronarie presuppone il cateterismo selettivo di un’arteria e l’avanzamento di un catetere fino all’origine dei vasi esplorati. Ha come scopo quello di escludere la presenza di una malattia coronarica significativa.

Cateterismo cardiaco: metodologia invasiva basata sull’introduzione di un piccolo tubo (catetere) in un vaso sanguigno; il catetere viene poi spinto fino al cuore e permette di acquisire informazioni importanti riguardo il flusso e l’ossigenazione del sangue e la pressione all’interno delle camere cardiache e delle arterie e delle vene polmonari. Viene utilizzato raramente; documenta un aumento delle pressioni di riempimento ventricolari e, nelle forme più gravi, riduzione della portata cardiaca (ossia della quantità di sangue pompata dal cuore) e ipertensione polmonare.

Biopsia endomiocardica: viene effettuata durante l’esecuzione del cateterismo cardiaco attraverso l’utilizzo di uno strumento chiamato biotomo. Di solito le biopsie si effettuano sul lato destro del setto interventricolare. Viene consigliata ai pazienti con cardiomiopatia dilatativa di recente riscontro e scompenso cardiaco “fulminante” per scoprire la presenza di miocardite e, nel caso, capire di che tipo sono le cellule che sostengono il processo infiammatorio, perché ciò ha un importante valore prognostico.

Risonanza magnetica (RM) cardiaca con mezzo di contrasto: vengono prodotte immagini dettagliate della struttura del cuore e dei vasi sanguigni tramite la registrazione di un segnale emesso dalle cellule sottoposte a un intenso campo magnetico. Fornisce le stesse informazioni dell’ecocardiogramma, ma permette una miglior valutazione del ventricolo destro e, in più, una valutazione della “struttura” del miocardio, portando così ad individuare la presenza di processi infiammatori e di aree di fibrosi (cicatrici).

TC cuore con mezzo di contrasto: è un esame di diagnostica basato su immagini che comporta l’esposizione a radiazioni ionizzanti. Fornisce informazioni analoghe a quella dell’RM. Utilizzando gli apparecchi attuali, se si somministra mezzo di contrasto per via endovenosa, si può ricostruire il lume coronarico e ottenere informazioni su eventuali restringimenti critici.

Indagini genetiche: vengono effettuate analizzando il DNA dei globuli bianchi che sono presenti in un campione di sangue ottenuto attraverso un comune prelievo venoso. In caso di cardiomiopatie dilatative familiari si può effettuare la ricerca delle mutazioni genetiche correlate allo sviluppo di cardiomiopatia dilatativa; se viene identificata una mutazione correlata allo sviluppo di cardiomiopatia dilatativa, si potrà poi procedere allo studio dei familiari “sani”: potranno essere rassicurati sul fatto che non svilupperanno la patologia gli individui per cui la ricerca della mutazione risulterà negativa.

Trattamenti

Quando si giunge a conoscere la causa della cardiomiopatia dilatativa, se possibile questa va rimossa o corretta. Indipendentemente dalla causa, si deve effettuare la terapia per l’insufficienza cardiaca, per migliorare i sintomi e aumentare la sopravvivenza. Attualmente la terapia per l’insufficienza cardiaca include:

Farmaci: ACE-inibitori/sartani, beta-bloccanti, anti-aldosteronici, diuretici, digossina.

L’impianto di un pacemaker (PM) biventricolari e/o un defribrillatore automatico (ICD).

Nei casi più gravi, refrattari ai trattamenti sopra indicati: l’impianto di dispositivi di assistenza ventricolare sinistra (LVAD) e/o il trapianto di cuore.

 

 

Cardiomiopatia ipertrofica

Cardiomiopatia ipertrofica

 

La cardiomiopatia ipertrofica è una condizione in cui il muscolo cardiaco diventa più spesso ed ipertrofico, in mancanza di dilatazione dei ventricoli.

Che cos’è la cardiomiopatia ipertrofica?

La cardiomiopatia ipertrofica può interessare uomini e donne in egual misura. Spesso non può neanche essere diagnosticata a causa dell’assenza di sintomi e in molti casi è possibile comunque condurre una vita normale. È possibile che si manifesti con: aritmie (che possono comportare una morte improvvisa), sintomi da ostruzione all’efflusso del sangue dal ventricolo sinistro (come vertigini e svenimenti), da scompenso cardiaco e da ischemia miocardica. Nelle cardiomiopatie ipertrofiche il ventricolo sinistro diventa meno elastico, per cui risulta avere una capacità ridotta di accogliere il sangue che proviene dai polmoni. La conseguenza è una riduzione della quantità di sangue pompata dal cuore (insufficienza cardiaca “diastolica” o “con conservata frazione di eiezione”): ciò determina i sintomi da scompenso cardiaco. È presente poi una disfunzione microvascolare che comporta ischemia miocardica, da cui possono derivare microinfarti; a ciò si possono forse attribuire i dolori al petto che spesso compaiono in questa patologia. La cardiomiopatia ipertrofica ostruttiva si ha quando il setto che separa i due ventricoli diventa così spesso da ostruire l’efflusso del sangue dal ventricolo sinistro; ciò viene correlato a distorsione dell’apparato valvolare mitralico, che provoca incontinenza della valvola. In circa il 3% dei pazienti la cardiomiopatia ipertrofica si sviluppa in una forma dilatativa con scompenso cardiaco refrattario e prognosi infausta.

Da cosa può essere causata la cardiomiopatia ipertrofica?

In genere alla base della cardiomiopatia ipertrofica c’è una mutazione genetica, che comporta non solo l’ipertrofia miocardica, ma anche una disposizione anomala delle fibre muscolari cardiache.

Con quali sintomi si manifesta la cardiomiopatia ipertrofica?

Quando presenti, i sintomi della cardiomiopatia ipertrofica possono essere fiato corto, dolore al petto e svenimenti (soprattutto durante l’attività fisica o in caso di sforzi), vertigini, affaticamento e palpitazioni.

Come prevenire la cardiomiopatia ipertrofica?

Essendo una malattia ereditaria, non esistono metodi per prevenire la cardiomiopatia ipertrofica. Esiste un 50% di rischio che il figlio di un individuo affetto dal problema erediti la mutazione genetica alla sua base.

Diagnosi

Il medico può avere il sospetto della presenza di una cardiomiopatia ipertrofica se rileva un soffio al cuore nel corso di una visita medica.

Per avere ulteriore conferma della diagnosi si possono prescrivere le seguenti analisi:

Ecocardiogramma: è un test basato sull’immagine che visualizza le strutture del cuore e il funzionamento delle sue parti mobili. L’apparecchio trasmette un fascio di ultrasuoni al torace, utilizzando una sonda appoggiata sulla sua superficie, e rielabora gli ultrasuoni riflessi che tornano alla stessa sonda dopo aver interagito in modo diverso con le varie componenti della struttura cardiaca (miocardio, valvole, cavità). Rappresenta l’esame cardine: consente la valutazione dell’aumento di spessore delle pareti ventricolari e l’individuazione dell’eventuale ostruzione all’efflusso dal ventricolo sinistro provocata da un’eccesiva ipertrofia del setto interventricolare, nonché l’insufficienza mitralica che è correlata all’ostruzione; può evidenziare segni di disfunzione diastolica.

ECG: registra l’attività elettrica del cuore. Possono essere mostrate molteplici alterazioni, tra cui, in particolare, segni di ipertrofia ventricolare sinistra.

ECG dinamico secondo Holter: L’Holter è il monitoraggio prolungato nelle 24 ore dell’ECG. Può segnalare aritmie.

Cateterismo cardiaco: metodologia invasiva basata sull’introduzione di un piccolo tubo (catetere) in un vaso sanguigno; il catetere viene poi spinto fino al cuore e permette l’acquisizione di informazioni importanti sul flusso e sull’ossigenazione del sangue, e sulla pressione all’interno delle camere cardiache e delle arterie e delle vene polmonari. Viene effettuato di rado; documenta un aumento delle pressioni di riempimento del ventricolo sinistro, diretta conseguenza della sua ridotta elasticità, e può segnalare, nelle forme più avanzate, ipertensione polmonare.

Risonanza magnetica (RM) cardiaca con mezzo di contrasto: vengono prodotte immagini dettagliate della struttura del cuore e dei vasi sanguigni tramite la registrazione di un segnale emesso dalle cellule sottoposte ad un intenso campo magnetico. Consente la valutazione accurata dell’aumento di spessore delle pareti ventricolari e l’identificazione delle cicatrici (aree di “fibrosi”), conseguenza dei microinfarti.

Indagini genetiche: si effettuano analizzando il DNA dei globuli bianchi che sono presenti in un campione di sangue ottenuto tramite un normale prelievo venoso. Si può effettuare la ricerca delle mutazioni genetiche associate allo sviluppo di cardiomiopatia ipertrofica; nel caso venga identificata una mutazione correlata allo sviluppo di cardiomiopatia ipertrofica, sarà poi possibile studiare i familiari “sani”: potranno essere rassicurati sul fatto che non svilupperanno la patologia gli individui per cui la ricerca della mutazione risulterà negativa.

Trattamenti

Il trattamento della cardiomiopatia ipertrofica ha come obiettivi il miglioramento dei sintomi e, nei pazienti ad alto rischio, la prevenzione della morte cardiaca improvvisa.

I possibili approcci terapeutici includono:

L’assunzione di farmaci che migliorano il “rilassamento” del muscolo cardiaco e rallentano i battiti, come i beta-bloccanti, i calcio-antagonisti e alcuni antiaritmici.

L’intervento chirurgico per eliminare l’ostruzione all’efflusso del sangue dal ventricolo sinistro determinato dall’ispessimento del setto che separa i due ventricoli.

L’alcolizzazione del setto interventricolare per eliminare l’ostruzione all’efflusso del sangue dal ventricolo sinistro determinato dall’ispessimento del setto nei casi in cui non sia possibile l’intervento chirurgico; questa procedura prevede l’iniezione di alcool in un ramo delle coronarie che irrora la porzione di setto responsabile dell’ostruzione.

L’impianto di un defibrillatore automatico (ICD) nei pazienti ad alto rischio di morte cardiaca improvvisa.

In presenza di sintomi di scompenso cardiaco: diuretici, anti-aldosteronici.

In caso di scompenso cardiaco refrattario: trapianto cardiaco.

 

Cardiomiopatia restrittiva

Cardiomiopatia restrittiva

 

La cardiomiopatia restrittiva è una condizione caratterizzata dall’aumento della rigidità delle pareti ventricolari, per cui il cuore non riesce a riempirsi adeguatamente (vi è cioè una “disfunzione diastolica”): la conseguenza è una diminuzione della quantità di sangue pompata (insufficienza cardiaca “diastolica” o “con conservata frazione di eiezione”). Nelle fasi iniziali la capacità del cuore di contrarsi (funzione sistolica) può risultare normale, ma con il progredire della patologia in genere si registra un deterioramento anche della funzione sistolica.

Che cos’è la cardiomiopatia restrittiva?

La cardiomiopatia restrittiva si manifesta spesso con un’insufficienza cardiaca rapidamente progressiva refrattaria alla terapia, specialmente in caso di amiloidosi. Solitamente il cuore ha delle dimensioni normali o solo leggermente aumentate. Purtroppo la prognosi, che è strettamente collegata alla causa alla base della cardiomiopatia, si rivela spesso sfavorevole e la sopravvivenza media dopo la diagnosi è di 9 anni.

Da cosa può essere causata la cardiomiopatia restrittiva?

Per circa il 50% dei casi la cardiomiopatia restrittiva risulta derivare da patologie specifiche, mentre nel resto dei casi è di natura idiopatica. È l’infiltrazione determinata dall’amiloidosi la causa più comune di cardiomiopatia restrittiva. Ma le cause possono anche essere l’interessamento cardiaco da sindrome da carcinoide, la fibrosi endomiocardica, la sindrome di Loeffler, la sindrome ipereosinofila, l’emocromatosi, la radioterapia e la chemioterapia con antracicline, la sclerodermia, la sarcoidosi, le malattie da accumulo. È possibile, inoltre, che la cardiomiopatia restrittiva compaia dopo un trapianto di cuore.

Con quali sintomi si manifesta la cardiomiopatia restrittiva?

Il quadro clinico della cardiomiopatia restrittiva è caratterizzato prevalentemente dalle manifestazioni dello scompenso cardiaco. Solitamente la comparsa dei sintomi è lenta, ma in alcuni casi possono presentarsi anche improvvisamente apparendo gravi fin dai primi momenti. I più diffusi sono tosse, difficoltà respiratorie e fiato corto (durante l’attività fisica o da sdraiati di notte), stanchezza e scarsa resistenza all’esercizio fisico, inappetenza, gonfiore addominale, dei piedi e delle caviglie e battiti cardiaci rapidi o irregolari. A questi disturbi si possono associare dolori al petto, perdita di concentrazione, riduzione della quantità di urina prodotta e, negli adulti, bisogno di urinare anche di notte.

Come prevenire la cardiomiopatia restrittiva?

Per gran parte delle situazioni non è possibile fare molto per prevenire la cardiomiopatia restrittiva. Talvolta il trattamento precoce della sarcoidosi e dell’emocromatosi, così come delle malattie da accumulo può evitarne l’insorgenza.

Diagnosi

Il medico può avere un sospetto di una cardiomiopatia restrittiva se durante una visita rileva turgore delle vene del collo o ingrossamento del fegato, rumori polmonari e cardiaci anomali, accumulo di fluidi nelle zone declivi, e il paziente manifesta sintomi da scompenso cardiaco.

Per una conferma della diagnosi si possono prescrivere alcune analisi come:

Analisi del sangue: che possono evidenziare ipereosinofilia (ossia importante aumento dei leucociti eosinofili), in caso di sindrome ipereosinofila o sindrome di Loeffler; ferritina assai alta, sideremia e percentuale di saturazione della transferrina elevate nell’emocromatosi; componenti monoclonali, in caso di amiloidosi; deficit di enzimi specifici nelle malattie da accumulo; elevazione del BNP (brain natriuretic peptide).

ECG: registra l’attività elettrica del cuore. Può mostrare molteplici alterazioni, tra cui bassi voltaggi nell’amiloidosi, e aritmie, come la fibrillazione atriale.

Ecocardiogramma: è un test basato su un’immagine che visualizza le strutture del cuore e il funzionamento delle sue parti mobili. L’apparecchio trasmette un fascio di ultrasuoni al torace, utilizzando una sonda appoggiata sulla sua superficie, e rielabora gli ultrasuoni riflessi che tornano alla stessa sonda dopo aver interagito in modo diverso con le varie componenti della struttura cardiaca (miocardio, valvole, cavità). Mostra segni di disfunzione diastolica, dilatazione degli atri e, non di rado, aumento degli spessori parietali associato ad alterata ecogenicità in caso di patologie infiltrative.

Cateterismo cardiaco: metodologia invasiva basata sull’introduzione di un piccolo tubo (catetere) in un vaso sanguigno; il catetere viene poi spinto fino al cuore e permette l’acquisizione di informazioni importanti sul flusso e sull’ossigenazione del sangue. Le pressioni di riempimento sono elevate e la portata cardiaca (la quantità di sangue pompata dal cuore) è ridotta.

Biopsia endomiocardica: viene svolta mentre si esegue il cateterismo cardiaco tramite l’utilizzo di uno strumento chiamato biotomo. Di solito le biopsie vengono effettuate sul lato destro del setto interventricolare. Risulta utile per escludere patologie infiltrative come l’amiloidosi o infiammatorie come la sarcoidosi.

Risonanza magnetica (RM) cardiaca con mezzo di contrasto: vengono prodotte immagini dettagliate della struttura del cuore e dei vasi sanguigni tramite la registrazione di un segnale emesso dalle cellule sottoposte a un intenso campo magnetico. Grazie alla sua capacità di dare informazioni sulla struttura del miocardio, rende possibile a volte individuare la causa della cardiomiopatia restrittiva, come nel caso dell’amiloidosi, dell’emocromatosi o della sarcoidosi.

RX torace (radiografia del torace): può rendere possibile l’individuazione della presenza di congestione polmonare (accumulo di liquidi nei polmoni); nel caso di sarcoidosi, può documentare ingrandimento bilaterale dei linfonodi localizzati a livello dell’ilo polmonare.

Trattamenti

Quando si è in grado di individuare la causa della cardiomiopatia restrittiva, il suo trattamento può consentire di controllare la malattia. Purtroppo, però, i trattamenti davvero efficaci sono pochi. Gli obiettivi principali sono il controllo dei sintomi e il miglioramento della qualità di vita del paziente. Per raggiungere tali obiettivi possono essere prescritti:

diuretici, in caso di accumulo di liquidi

farmaci per controllare eventuali irregolarità del battito cardiaco

farmaci anticoagulanti

 

 

Sindrome del QT Lungo (LQTS)

Sindrome del QT Lungo (LQTS)

 

È una cardiopatia provocata da un difetto del battito cardiaco, difetto del processo di ripolarizzazione ventricolare (fase successiva alla contrazione ventricolare) che in questi pazienti avviene in un tempo più lungo rispetto alla norma. Questa fase del battito è indicata come intervallo QT e risulta allungata in modo patologico nei pazienti affetti da LQTS. Questa anomalia elettrica del battito cardiaco si presenta con una grande disomogeneità elettrica della ripolarizzazione ventricolare, il miocardio ventricolare diventa altamente vulnerabile; l’extrasistole che insorge in tale periodo può innescare un’aritmia rapidissima, sincopale e spesso fatale.

Le aritmie ventricolari da LQTS, come per esempio torsioni di punta o tachicardie ventricolari, si presentano con una perdita di coscienza (sincopi). Le anomalie della ripolarizzazione ventricolare sono originate da alterazioni di alcune proteine responsabili del trasporto degli ioni potassio e sodio mediante la membrana delle cellule cardiache, funzione fondamentale per il mantenimento della normale attività elettrica del cuore. I difetti di questi canali possono avere un carattere genetico (nelle forme ereditarie della sindrome), ma possono anche essere provocati dall’azione di alcuni farmaci come antiaritmici, antimicotici ecc.

Fra le LQTS genetiche si possono distinguere forme simili tra loro ma secondarie ad alterazioni in geni diversi. Sono stati identificati diversi geni, le cui mutazioni causano LQTS: ad esempio gene KCNQ1 o KvLQT1 cromosoma 11 che genera LQT1, gene KCNH2 o HERG cromosoma 7 che genera LQT2 ecc. Solitamente la sindrome del QT lungo viene trasmessa con modalità autosomica dominante.

Diagnostica

Elettrocardiogramma a 12 derivazioni

Trattamenti

Terapia con farmaci betabloccanti o con farmaci a base di potassio

Impianto del defibrillatore

Ipotensione

Ipotensione

 

L’ipotensione è una condizione in cui la pressione del sangue è molto più bassa rispetto ai valori considerati normali. Solitamente può essere trattata con successo per evitare che quantità sufficienti di ossigeno e nutrienti non raggiungano cuore, cervello e altri organi e tessuti dell’organismo.

Che cos’è l’ipotensione?

La pressione del sangue varia da persona a persona. Generalmente si parla di ipotensione quando c’è una condizione in cui la pressione massima (o sistolica) è uguale o inferiore a 90 mmHg e quella minima (o diastolica) è uguale o inferiore a 60 mmHg. L’ipotensione può essere causata da molteplici fattori di diversa rilevanza: si varia pertanto da una banale disidratazione a disturbi più seri. Cali pressori improvvisi possono determinare un afflusso ridotto di sangue al cervello con il rischio di svenimenti e cadute a terra, le cui conseguenze sono particolarmente disastrose nei soggetti anziani (pericolo di fratture gravi). Solitamente si tratta di un problema risolvibile, a patto che la sua causa sia correttamente individuata.

Da cosa può essere causata l’ipotensione?

Alla base della diminuzione della pressione sanguigna possono esserci un’emorragia improvvisa, una grave infezione, uno scompenso cardiaco, uno shock anafilattico, danni ai nervi che regolano le variazioni pressorie della circolazione come nel caso di diabete, aritmie e disidratazione. Si può avere una comparsa di ipotensione in concomitanza con cambiamenti repentini della postura, come avviene nel caso di ipotensione ortostatica, soprattutto al passaggio rapido dalla posizione sdraiata alla posizione eretta. In questo caso i disturbi scompaiono entro pochi minuti o addirittura in pochi secondi se il soggetto ripristina rapidamente la posizione di partenza. Una situazione simile si verifica nel caso dell’ipotensione ortostatica postprandiale, in cui il problema compare dopo i pasti ed interessa soprattutto gli anziani. L’aumento del sangue confinato alla regione gastro-intestinale, per garantire il miglior svolgimento del lavoro digestivo, sottrae sangue agli altri organi e contribuisce all’abbassamento della pressione arteriosa sistemica. Nei bambini e nei giovani adulti si verifica più frequentemente l’ipotensione neuromediata, un problema che può fare la sua comparsa quando si sta in piedi per un periodo di tempo troppo lungo. Infine, la pressione può essere ridotta notevolmente dall’alcol e da alcuni farmaci, soprattutto i medicinali contro l’ansia e la depressione, i diuretici, gli antipertensivi in generale e alcuni antidolorifici.

Con quali sintomi si manifesta l’ipotensione?

I principali sintomi dell’ipotensione sono: vista appannata, stato confusionale, vertigini, svenimento, stordimento, nausea o vomito, sonnolenza e debolezza.

Come si può prevenire l’ipotensione?

Le misure preventive sono indicate soprattutto nelle forme di ipotensione ortostatica e di ipotensione neuromediata. Nel primo caso è bene evitare una eccessiva disidratazione, attraverso l’assunzione di una congrua dose di liquidi nella giornata; è fortemente consigliato inoltre di evitare di alzarsi velocemente dalla posizione seduta o sdraiata, di non bere alcolici ed eventualmente di utilizzare calze contenitive. In caso di ipotensione neuromediata è necessario evitare di stare in piedi troppo a lungo.

Diagnosi

Per una diagnosi dell’ipotensione è necessaria una visita medica in cui vengono valutati pressione sanguigna in clino e ortostatismo, polso, respirazione e temperatura corporea, e in cui vengono raccolte informazioni sui farmaci assunti, sull’alimentazione, su malattie o traumi recenti.

Potrebbero essere prescritte delle analisi di primo livello tra cui:

Esami del sangue completi + esame urine

Elettrocardiogramma

Radiografia del torace

Trattamenti

Se l’ipotensione non è correlata ad alcun sintomo, generalmente non è necessario un trattamento. Negli altri casi la terapia più adatta dipende dalla causa dell’abbassamento della pressione sanguigna.

In caso di ipotensione ortostatica potrebbe essere necessario limitare le dosi di alcuni dei farmaci assunti o sostituirli con altri medicinali, bere di più per evitare la disidratazione e indossare calze contenitive.

Per chi soffre di ipotensione neuromediata sarebbe opportuno evitare di stare in piedi troppo a lungo, mantenersi idratato e aumentare il consumo di sale; solo nei casi più gravi potrebbe essere necessario assumere farmaci specifici.

Per le forme di ipotensione più gravi è necessario effettuare una valutazione medica approfondita. Spesso vengono associate al ricovero ospedaliero e all’esecuzione di indagini specialistiche, oltre che alla somministrazione di terapie adatte alla causa riconosciuta dell’ipotensione.

Ipertensione polmonare

Ipertensione polmonare

 

Con il termine “ipertensione polmonare” viene indicato un incremento della pressione del sangue all’interno dei vasi arteriosi del polmone causato dalla distruzione, dall’ispessimento parietale, dal restringimento o dall’ostruzione dei vasi stessi.

Che cos’è l’ipertensione polmonare?

Con il termine “ipertensione polmonare” viene indicato un incremento della pressione del sangue all’interno dei vasi arteriosi del polmone causato dalla distruzione, dall’ispessimento parietale, dal restringimento o dall’ostruzione dei vasi stessi.

La pressione polmonare media è normalmente di circa 14 mmHg a riposo: si può cominciare a parlare di ipertensione polmonare quando la pressione polmonare media supera i 25 mmHg. Questa condizione sottopone il ventricolo destro (deputato a pompare sangue verso i polmoni) a un sovraccarico di pressione e volume, che può portarlo all’insufficienza contrattile e allo scompenso.

Se l’ipertensione polmonare non viene opportunamente trattata, può degenerare provocando un ulteriore restringimento dei vasi sanguigni e aggravare i sintomi tipici della patologia.

Da cosa può essere causata l’ipertensione polmonare?

L’ipertensione polmonare può essere di due tipi:

  1. Primitiva o idiopatica: rappresenta una condizione rara che colpisce soprattutto il sesso femminile. Compare più frequentemente tra i 30 e i 50 anni. Sebbene ancora non si conosca la causa dell’ipertensione polmonare primitiva, la patologia può risultare correlata a particolari mutazioni genetiche.
  2. Acquisita o secondaria: è molto più diffusa della forma primitiva. La patologia nella forma secondaria è stata osservata in associazione a:

Malattie polmonari come l’enfisema, la fibrosi polmonare, la broncopneumopatia cronica ostruttiva e la patologia respiratoria associata ai disordini del sonno (apnee notturne).

Embolia polmonare e ipertensione polmonare trombo embolica cronica.

Malattie autoimmuni del tessuto connettivo, come la sclerodermia o il lupus eritematoso sistemico.

Difetti cardiaci congeniti o malattie del cuore sinistro (valvulopatie, grave insufficienza cardiaca).

Anemia emolitica cronica (anemia falciforme).

Malattie croniche del fegato con ipertensione portale.

Infezioni da HIV.

Assunzione di alcuni farmaci (anoressizzanti, inibitori del reuptake della serotonina) o di sostanze stimolanti (cocaina, anfetamine).

Con quali sintomi si manifesta l’ipertensione polmonare?

La sintomatologia dell’ipertensione polmonare può comprendere:

Difficoltà di respirazione, in particolare durante sforzi fisici.

Stanchezza o affaticabilità.

Svenimenti.

Nelle fasi avanzate della patologia le difficoltà di respirazione possono manifestarsi anche in una situazione di riposo ed è possibile che compaiano dolori al petto tipici dell’angina pectoris (segno di sofferenza cardiaca) ed edema (ristagno di liquidi) agli arti inferiori.

Come si può prevenire l’ipertensione polmonare?

In relazione all’ipertensione polmonare secondaria la prevenzione può essere mirata a evitare/trattare tutte le condizioni mediche e i fattori di rischio che possono comportare lo sviluppo della malattia.

Per quanto riguarda l’ipertensione polmonare primitiva, poiché la causa all’origine di questa forma della patologia è perlopiù sconosciuta, non è possibile prevenirla.

Diagnosi

L’ecocardiografia transtoracica rappresenta la tecnica non invasiva migliore per approcciare la diagnosi di ipertensione polmonare. Un ecocardiogramma consente di visualizzare molto accuratamente il cuore e di registrare le alterazioni morfologiche e strutturali delle camere cardiache destre che si sviluppano come conseguenza dell’incremento dei valori di pressione polmonare. La metodica Doppler consente inoltre di effettuare una stima indiretta della pressione sistolica (cioè la pressione massima) nell’arteria polmonare.

Per effettuare una diagnosi definitiva è però necessario sottoporsi al cateterismo cardiaco: attraverso questo esame si può infatti misurare in modo diretto alcuni parametri, la cui alterazione è correlata ad una prognosi sfavorevole della malattia: la pressione nell’atrio destro del cuore, la pressione polmonare media, la portata cardiaca. Tramite il cateterismo cardiaco si può inoltre eseguire il test di vaso-reattività polmonare: attraverso la somministrazione di farmaci che inducono la dilatazione dei vasi sanguigni polmonari si possono identificare i pazienti che presentano una residua capacità di vasodilatazione polmonare e che potrebbero trarre giovamento dalle terapie farmacologiche.

Possono inoltre risultare utili:

Spirometria: il paziente respira tramite un boccaglio e l’apparecchio collegato al boccaglio misura vari aspetti della respirazione, per riscontrare eventuali anomalie che rimandano a patologie polmonari.

Angio-tomografia computerizzata del torace e angiopneumografia: sono esami radiologici che consentono la visualizzazione del decorso delle arterie polmonari e la loro eventuale occlusione.

Scintigrafia polmonare perfusoria: con questo esame si può ottenere una “fotografia” della circolazione sanguigna nei polmoni. In presenza di ostruzioni vengono rilevati difetti di perfusione.

Emogasanalisi (EGA): è un prelievo di sangue arterioso allo scopo di misurare la quantità di ossigeno e di anidride carbonica in esso presenti.

Test del cammino e test da sforzo cardiopolmonare: per valutare la tolleranza cardiaca allo sforzo e la presenza di eventuale insufficienza respiratoria.

Trattamenti

Il trattamento varia a seconda che si soffra della forma primitiva o secondaria della malattia.

Nel caso di ipertensione polmonare secondaria, la terapia è basata principalmente sui trattamenti mirati a curare la condizione che ha scatenato la patologia.

Il trattamento dell’ipertensione polmonare primaria è basato sulla somministrazione di farmaci che possano vasodilatare il circolo polmonare come calcio antagonisti, prostacicline, farmaci antiendotelina e inibitori della fosfodiesterasi tipo 5 (sildenafil e simili).

In molti casi viene suggerito l’impiego di anticoagulanti orali, che possono essere correlati a diuretici e ad altre terapie dell’insufficienza cardiaca, in caso di scompenso di circolo.

 

 

Right Arrow