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Frattura del piede e della caviglia

Frattura del piede e della caviglia

 

Le fratture della caviglia e del piede sono eventi abbastanza comuni  che comportano nella maggior parte dei casi un trattamento chirurgico molto delicato e una lunga riabilitazione.

Quando si parla di frattura del piede, ad esempio, ci si riferisce alla probabile rottura di ossa diverse che compongono l’articolazione. Le più esposte al rischio di frattura sono: l’astragalo, il calcagno, lo scafoide, le ossa che compongono il metatarso e le ossa delle dita, vale a dire le falangi.

 

Che cos’è la frattura del piede?

Quando si parla di frattura del piede spesso si fa riferimento a un solo osso di quelli che compongono l’articolazione, anche se in alcuni casi – schiacciamento, incidenti – possono essere coinvolte più ossa. La frattura può essere netta, con due soli frammenti, o creare più frammenti. Può essere inoltre composta o scomposta.

La frattura più complessa e grave riguarda l’astragalo, osso di collegamento tra tibia-perone e calcagno. Di difficile guarigione è anche la frattura del calcagno, l’osso su cui si scarica tutta la pressione del corpo. Le fratture dell’astragalo e del calcagno hanno una lenta guarigione perché si tratta di ossa scarsamente irrorate dai vasi sanguigni e quindi la saldatura dei frammenti è meno rapida.

Fratture frequenti sono quelle del metatarso e dello scafoide, il collo del piede. Le fratture di più semplice ricomposizione sono quelle delle falangi.

Le fratture delle ossa del piede rivestono un’importanza particolare, perché possono determinare deformità e difficoltà nel camminare e nello svolgere le più semplici azioni quotidiane. Il trattamento è molto delicato per la complessità dell’articolazione e deve essere eseguito da esperti in chirurgia del piede e in centri specializzati.

La caviglia a causa della sua collazione è sottoposta a diverse sollecitazioni dovendo sopportare tutto il peso corporeo. La frattura della caviglia consiste nella rottura delle parte distale della tibia o della parte distale del perone/fibula.

 

Quali sono le cause della frattura del piede?

Le fratture si possono determinare per varie cause. Le più frequenti sono gli incidenti, in particolare gli incidenti alla guida e quelli professionali, in seguito a schiacciamento o a caduta dall’alto. Seguono i traumi sportivi, le cadute, le fratture da stress determinate da usura e movimenti ripetitivi. Un’altra causa di frattura del piede è l’osteoporosi, condizione in cui le ossa sono fragili e possono lesionarsi da sole senza urti o traumi.

 

Quali sono i sintomi della frattura del piede?

I sintomi differiscono a seconda del punto di lesione. Generalmente la frattura provoca:

-dolore vivo

-difficoltà o impossibilità a reggersi in piedi senza provare dolore

-gonfiore

-presenza di lividi e tumefazioni

-deformità (pronazione)

 

Come prevenire la frattura del piede?

Le fratture del piede si possono prevenire ponendo particolare attenzione alla protezione delle estremità con calzature infortunistiche se si svolgono lavori pericolosi. Se si pratica attività sportiva bisognerebbe evitare di sottoporre i piedi a stress eccessivi ed è raccomandata la scelta di scarpe idonee al tipo di attività fisica. Per evitare le fratture dovute a osteoporosi si dovrebbe integrare l’alimentazione con fonti di calcio e vitamina D e seguire le terapie mediche per ripristinare la mineralità dell’osso.

 

Diagnosi

Gli esami per diagnosticare le fratture del piede includono:

-radiografia del piede, che consente di visualizzare le lesioni da angolazioni diverse.

-scintigrafia ossea, mediante un mezzo di contrasto che evidenzia le zone danneggiate.

-TAC (tomografia assiale computerizzata), fornisce informazioni preziose per individuare le lesioni e le interferenze con tessuti, muscoli e legamenti consentendo di pianificare meglio un intervento chirurgico.

-risonanza magnetica, per la valutazione dello stato dei legamenti che possono essersi danneggiati durante un incidente e complicare la guarigione dell’articolazione.

 

Trattamenti

Il primo trattamento della frattura consiste nell’applicare ghiaccio, nell’immobilizzare il piede e nell’eventuale riduzione del dolore attraverso la somministrazione di antidolorifici.

Per le tipologie di fratture più semplici (come quella dell’alluce) è sufficiente immobilizzare la parte con il gesso.

Generalmente, le fratture del piede richiedono un intervento chirurgico, finalizzato alla ricomposizione (riduzione) dei frammenti e alla saldatura tramite viti metalliche, perni o piastre che vengono rimossi dopo la guarigione. All’intervento segue nella maggior parte dei casi una immobilizzazione con gesso e un periodo di riposo.

La riabilitazione fisioterapica è molto importante nel caso di fratture della caviglia e del piede. Serve a ristabilire attraverso esercizi mirati e ripetuti nel tempo l’esatta configurazione dei movimenti e un equilibrio nei rapporti tra ossa, nervi e muscoli. Durante le sedute si eseguono esercizi propriocettivi e di rinforzo muscolare.

 

Rottura della cuffia dei rotatori

Rottura della cuffia dei rotatori

 

La cuffia dei rotatori è il complesso dei quattro muscoli (con i rispettivi tendini) che concorre al movimento dell’articolazione della spalla nei vari piani dello spazio e che tiene stabile l’articolazione fra la scapola e l’omero (l’osso che appartiene alla parte superiore del braccio).

 

Che cos’è la rottura della cuffia dei rotatori?

La “lesione” della cuffia dei rotatori è la rottura parziale o completa di uno (o più) fra i tendini che la costituiscono.

È una condizione molto comune soprattutto nel paziente anziano. La rottura può essere sia parziale che completa e genera sia dolore che limitazioni funzionali.

 

Quali sono le cause della rottura della cuffia dei rotatori?

La rottura della cuffia dei rotatori può avvenire sia per un evento traumatico, come risultato di un movimento errato, di un eccessivo carico o di un impatto, sia per via degenerativa, più lentamente, a causa di continui stress dell’articolazione o come frutto della degenerazione indotta dall’invecchiamento.

Più frequentemente è un insieme di questi due elementi che portano alla rottura tendinea: a causa di fenomeni degenerativi inizia un fenomeno di “assottigliamento” del tendine che può poi evolvere sia spontaneamente che in seguito a traumi o sforzi anche banali in una rottura completa.

 

Quali sono i sintomi della rottura della cuffia dei rotatori?

La rottura della cuffia dei rotatori è solitamente caratterizzata da dolore nella parte anteriore della spalla, specialmente se la causa della rottura è di natura traumatica. Il paziente prova dolore specialmente quando compie movimenti come alzare il gomito sopra la spalla o appoggiarlo a una superficie come il bracciolo di una poltrona o la superficie di un tavolo o di una scrivania.

Quando la rottura deriva invece da una condizione cronica, il dolore si manifesta con intensità variabile nel tempo ed è spesso presente nelle ore notturne. È inoltre spesso accompagnato da una maggiore difficoltà nel compiere movimenti, che hanno un raggio più limitato, e dall’impossibilità di sollevare pesi anche modesti.

 

Quali sono i fattori di rischio per la rottura della cuffia dei rotatori?

Nei casi di rottura tendinea traumatica vanno considerati fattori di rischio tutte le attività sia sportive che lavorative che hanno una alta incidenza di traumatismi a carico della spalla (rugby, calcio, sci, motocross ecc).

Nel caso di lesioni degenerative esistono fattori di rischio legati all’età, a patologie metaboliche (come il diabete), ad abitudini di vita (come il fumo) per cui si genera una diminuzione della vascolarizzazione del tendine che quindi si indebolisce e che lo predispone alla rottura.

La rottura può tuttavia derivare anche dallo svolgimento di un lavoro che sollecita l’articolazione in modo continuo o da una predisposizione personale, dovuta alla naturale conformazione dell’articolazione.

 

Come si previene la rottura della cuffia dei rotatori?

Non è possibile prevenire la lacerazione della cuffia dei rotatori ma è facile diminuire le possibilità di una lacerazione traumatica o da degenerazione attraverso i seguenti accorgimenti:

-esercitare regolarmente la spalla per mantenere flessibilità e forza della muscolatura.

-fare attenzione agli sforzi che riguardano l’articolazione fra spalla e omero.

-riposo quando l’articolazione duole o è infiammata.

-non esitare a sottoporsi a un controllo specialistico in caso di persistenza della sintomatologia.

 

Diagnosi

La rottura della cuffia dei rotatori si diagnostica solitamente attraverso l’esame fisico, seguito per conferma da una risonanza magnetica.

La radiografia, invece, sebbene non evidenzi la rottura, può essere utilizzata per rendere visibili eventuali alterazioni a carico delle componenti scheletriche.

 

Trattamenti

Spesso l’opzione chirurgica non è la prima scelta per il trattamento della rottura della cuffia dei rotatori in quanto è possibile avere un beneficio della sintomatologia anche con trattamenti riabilitativi.

L’approccio chirurgico viene spesso considerato come prima opzione solo in casi di rottura totale in pazienti giovani, quando c’è il rischio che possa portare ad un’alterazione nella conformazione dell’articolazione stessa.

 

Terapia non chirurgica

L’approccio non chirurgico consiste in diversi fasi indirizzate alla riduzione della sintomatologia.

Può essere benefico un periodo di riposo eliminando fattori di stress per la spalla (sia sportivi che lavorativi) coadiuvati da una terapia farmacologica mirata a ridurre sia il dolore che l’infiammazione derivante dalla rottura tendinea.

A ciò si può aggiungere un programma riabilitativo basato su terapie fisiche e fisioterapia per ridurre la componente infiammatoria e cercare di ottenere un recupero funzionale.

A seconda dei risultati della terapia fisica e degli esiti dei controlli successivi, lo specialista può decidere se continuare con la terapia non chirurgica od optare per un intervento di tipo chirurgico.

 

Terapia chirurgica

Quando vi sia l’indicazione per un approccio di tipo chirurgico, per via dell’esito negativo delle terapie non chirurgiche (solitamente non valutabile prima di 8-12 settimane) o per altri fattori, lo specialista può decidere di operare.

L’approccio artroscopico è in questo caso quello più utilizzato: in regime di day surgery, in anestesia loco reginale e attraverso 3 piccoli “buchini” attraverso la pelle si procede alla visualizzazione diretta della lesione e alla sua riparazione.

La chirurgia si è dimostrata efficace nella terapia per la rottura della cuffia dei rotatori, sebbene possa accadere che la patologia si ripresenti con ricorrenza nell’arco della vita del medesimo individuo. In casi molto severi è possibile infine procedere alla sostituzione di una parte o dell’intera articolazione della spalla con una protesi.

Dopo la terapia chirurgica, qualsiasi sia l’approccio adottato, è necessaria una procedura di riabilitazione, divisa solitamente in tre fasi:

Prima fase: immobilizzazione del braccio per circa 4 settimane, per permettere al tessuto muscolare di ripararsi.

Seconda fase: fisioterapia assistita, per recuperare il movimento dell’articolazione (circa 4-8 settimane).

Terza fase: rinforzo della muscolatura attraverso l’esercizio fisico assistito e non (circa 8 settimane).

 

Rottura del tendine d’Achille

Rottura del tendine d’Achille

 

Il tendine d’Achille è responsabile di molti dei movimenti che avvengono a livello del piede e della gamba. Anatomicamente collega i muscoli del polpaccio al calcagno. Sebbene sia un tendine molto resistente, se sottoposto a eccessivo sforzo può lacerarsi e arrivare a rompersi. La rottura del tendine di Achille può essere parziale o totale.

 

Che cos’è la rottura del tendine d’Achille?

Questo tipo di infortunio, tanto più doloroso quanto maggiormente è estesa la rottura, si verifica più comunemente nei soggetti che praticano sport. L’approccio chirurgico è spesso la migliore opzione di trattamento per riparare una rottura del tendine d’Achille. Gli uomini corrono un rischio fino a 5 volte maggiore di incorrere in questo infortunio rispetto alle donne e la fascia di età più colpita è quella tra i 30 e i 40 anni.

 

Quali sono le cause della rottura del tendine d’Achille?

La rottura di questo tendine – che può essere parziale o totale – è più frequente entro i primi 5-6 centimetri dal punto dove il tendine si attacca al calcagno. Questo tipo di lesione viene quasi sempre provocata da un improvviso aumento della quantità di stress sul tendine di Achille. Ciò accade soprattutto a causa di traumi o infortuni (quando, ad esempio, si cade o si infila il piede in una buca). Spesso la rottura del tendine di Achille riguarda soggetti che praticano sport: aumentare eccessivamente l’intensità dell’attività sportiva è infatti una delle cause più frequenti che porta alla rottura di questo tendine. Le lesioni del tendine di Achille si verificano più spesso negli sport caratterizzati da corse, salti e scatti (come calcio, basket e tennis).

 

Quali sono i sintomi della rottura del tendine d’Achille?

Quando si verifica la rottura del tendine molte persone riferiscono di sentire un rumore di schiocco, simile a una frustata. Solitamente la sintomatologia che accompagna questo infortunio comprende:

-dolore, anche molto intenso, nella zona del tallone

-gonfiore intorno al tallone

-incapacità di piegare il piede infortunato verso il basso

-incapacità di alzarsi sulla punta del piede infortunato

 

Come prevenire la rottura del tendine d’Achille?

Per ridurre le probabilità di lacerazione del tendine d’Achille è consigliabile:

-effettuare esercizi volti ad allungare e rinforzare i muscoli del polpaccio e il tendine di Achille.

-variare il tipo di attività sportiva svolta, alternando sport ad alto impatto, come la corsa, con sport a basso impatto come camminare, andare in bicicletta o nuotare.

-evitare o limitare l’esecuzione di esercizi su superfici dure e scivolose.

-indossare calzature adeguate all’attività fisica che si sta svolgendo.

-aumentare l’intensità dello sforzo fisico gradualmente: molte delle lesioni al tendine di Achille si verificano proprio quando si aumenta bruscamente l’intensità (durata e/o frequenza) degli allenamenti.

 

Diagnosi

Per diagnosticare la rottura del tendine di Achille è spesso sufficiente sottoporsi a una visita ortopedica: il medico specialista sarà infatti in grado, attraverso opportune manovre, di effettuare la diagnosi.

Per rilevare l’entità del danno a carico del tendine, e stabilire se la rottura è totale o parziale, il medico può richiedere l’esecuzione di una risonanza magnetica.

 

Trattamenti

Il trattamento per la rottura del tendine d’Achille dipende dalla gravità della lesione, dall’età del soggetto colpito dall’infortunio e dal livello di attività fisica svolta abitualmente. In generale, nel caso di rottura completa, le persone più giovani e attive spesso optano per l’intervento chirurgico attraverso cui il tendine lacerato viene ricucito. In caso, invece, di rottura parziale, può essere utilizzato un gesso (o un tutore) comprensivo di sostegni per tenere il tallone sollevato (per mantenere, cioè, il piede in posizione equina) al fine di favorire la rimarginazione del tendine lacerato.

Dopo qualsiasi trattamento è necessario sottoporsi a un programma di fisioterapia per rinforzare i muscoli delle gambe e lo stesso tendine di Achille. Per tornare alla normale attività quotidiana e sportiva solitamente sono necessari 4-6 mesi.

 

Piede piatto

Piede piatto

 

In una situazione fisiologica la pianta del piede non tocca il terreno quando si è in posizione eretta. In caso di appiattimento della volta plantare si parla di piede piatto.

Dai 10 mesi di vita fino ai 3-4 anni di età questa situazione è del tutto fisiologica e rientra nella normale crescita del piede (piede piatto fisiologico), ed è portata a correggersi spontaneamente entro i 6-7 anni di età. Anche quando la presenza dei piedi piatti permane senza regredire autonomamente la condizione è, la maggior parte delle volte, indolore. I piedi piatti possono contribuire all’insorgenza di problemi a caviglie e ginocchia perché la presenza di questa condizione può alterare l’allineamento delle gambe.

 

Quali sono le cause del piede piatto?

La presenza del piede piatto nei bambini è del tutto normale e in alcune persone questa conformazione del piede tipica dell’infanzia non regredisce, permanendo anche in età adulta. Nonostante questa condizione non desti importanti problematiche, i bambini che ne sono affetti hanno maggiori possibilità di soffrire da adulti di patologie secondarie come l’artrosi della caviglia e l’alluce valgo. Per questo motivo il trattamento  è soprattutto preventivo. Alcuni fattori possono influire sulla possibilità di sviluppare il piede piatto anche in età adulta: obesità, lesioni traumatiche al piede o alla caviglia; artrite reumatoide; invecchiamento.

 

Quali sono i sintomi del piede piatto?

La maggior parte delle persone non ha alcun sintomo associato alla presenza del piede piatto. In alcuni casi, soprattutto nei soggetti con valgo-pronazione del calcagno, possono esservi dolore in particolare nella zona del tallone o della volta plantare e gonfiore nella parte interna della caviglia.

 

Come prevenire il piede piatto?

Per prevenire la formazione del piede piatto in età adulta è bene evitare le condizioni che possano predisporre al suo sviluppo. Se nulla si può fare riguardo alcuni fattori di rischio – come l’artrite reumatoide e l’invecchiamento – è possibile invece attuare delle strategie preventive per evitare l’insorgenza di condizioni come il sovrappeso e l’obesità e le lesioni traumatiche al piede o alla caviglia che favoriscono la comparsa di questo disturbo.

 

Diagnosi

Per effettuare la diagnosi il medico, dopo aver osservato i piedi del paziente, chiederà di effettuare dei movimenti (come mettersi sulle punte dei piedi) per esaminare la meccanica dei piedi.

Nel caso il paziente lamenti dolore, il medico può consigliare al paziente di sottoporsi a:

-radiografia: per visualizzare le ossa e le articolazioni dei piedi.

-TAC: in grado di visualizzare le ossa e l’articolazione del piede da diverse angolazioni, fornendo maggiori dettagli rispetto a una normale radiografia.

-ecografia: questo esame, in grado di fornire immagini dei tessuti molli, può essere effettuato nel caso in cui il medico sospetti la presenza di una lesione tendinea.

-risonanza magnetica: in grado di fornire immagini dettagliate sia dei tessuti duri (come le ossa) sia dei tessuti molli (come tendini e vasi sanguigni).

 

Trattamenti

In presenza di un accentuato piattismo dei piedi, già a partire dai 3 o 4 anni di età è bene mettere in atto una serie di provvedimenti – del tutto non invasivi – mirati a favorire la maturazione della volta plantare. Tra questi:

-l’uso di un plantare

-il rinforzo muscolare mediante esercizi e sport adatti.

In entrambi i casi è bene farsi consigliare dal medico, evitando il “fai-da-te”.

 

Se entro gli 8-9 anni non si raggiunge un miglioramento della volta plantare possono essere consigliati, nei casi di piattismo più importanti, interventi chirurgici correttivi da eseguire tra i 9 e i 14 anni. Diverse sono le procedure chirurgiche utilizzate a questo scopo: le più diffuse sono l’endortesi e il calcagno-stop, entrambe mirate a correggere la pronazione del calcagno e a far risalire la volta plantare.

Piede cavo

Piede cavo

 

Il piede cavo è una malformazione congenita o acquisita che consiste in una eccessiva accentuazione dell’altezza dell’arcata plantare. Nello specifico il piede poggia a terra sono sulla dita e sul calcagno. Questo può condurre a deformità del piede o a una scorretta configurazione ossea.

Un segno tipico sono le griffe digitali, vale a dire dita eccessivamente flesse. È più frequente nel sesso femminile, soprattutto in quelle forme acquisite legate all’uso di calzature che a lungo andare modificano la forma del piede.

 

Che cos’è il piede cavo?

Il piede cavo è una patologia più frequente nelle donne e più diffusa del piede piatto.  Viene classificato in diversi modi, a seconda della causa, del tipo di deformità del piede e dal grado accentuazione dell’arco plantare.

 

Quali sono le cause del piede cavo?

La causa del piede cavo congenito è la familiarità, vale a dire una predisposizione genetica che accomuna altri familiari e che può essere legata a uno sviluppo imperfetto (displasia) dell’articolazione.

Il piede cavo acquisito e cosiddetto essenziale è provocato da cause non patologiche come calzature troppo corte o tacchi troppo alti che possono piegare a uncino le dita e incavare in modo esagerato l’arco plantare. Anche alcune attività sportive possono comportare l’accentuazione eccessiva dell’arco plantare.

Il piede cavo neurologico è legato a patologie neurologiche (paralisi poliomielitica, paralisi spastica, nella malattia di Friedreich, malattia di Charcot-Tooth) che provocano la paralisi del muscolo.

Il piede cavo secondario deriva da processi patologici, come l’artrite reumatoide, esiti chirurgici o altri danni ai muscoli e ai tessuti del piede.

 

Quali sono i sintomi del piede cavo?

Il segno del piede cavo è un arco plantare accentuato che condiziona la deambulazione della persona. Altri sintomi sono l’ arrossamento e ispessimento della cute nella parte esterna del piede, che diventa dura e callosa. La persona sperimenta difficoltà a camminare. Tale condizione  nel caso dello sviluppo e dell’accrescimento del bambino, va costantemente monitorata perché può comportare una tendenza a: ginocchio valgo, rigidità delle anche, accentuazione della curva lombare e mal di schiena frequenti.

 

Come prevenire il piede cavo?

La prevenzione delle forme acquisite del piede cavo si ottiene facendo attenzione, soprattutto nel caso delle donne, a scegliere calzature appropriate ( non troppo corte o con tacchi troppo alti) per evitare che a lungo andare possano modificare la forma dell’arcata plantare.

Osteoporosi

Osteoporosi

 

L’osteoporosi è una malattia che colpisce le ossa, provocandone una maggiore fragilità e quindi un aumentato rischio di fratture. Tali lesioni possono avvenire in seguito a traumi lievi (ossia che non provocherebbero fratture in un osso sano) o anche in assenza di traumi evidenti (fratture da fragilità).

Si possono distinguere due forme principali di osteoporosi: una “primaria” (95% dei casi) che colpisce le donne in menopausa o gli anziani, e una “secondaria” (5% dei casi) che colpisce persone affette da altre malattie o che assumono farmaci che modificano negativamente il metabolismo osseo.

Il rischio di osteoporosi primaria aumenta con l’età, infatti è considerata una malattia comune che interessa il 30% delle donne sopra i cinquant’anni. L’osteoporosi è la causa principale di fratture nelle donne dopo la menopausa e negli anziani. Le ossa più frequentemente interessate da frattura sono il femore, le vertebre e l’articolazione del polso. Nel caso invece dell’osteoporosi secondaria vengono colpite persone di ogni età, anche bambini e adolescenti.

 

Quali sono le cause dell’osteoporosi?

L’osso è un tessuto formato principalmente da due tipi di cellule: gli “osteoblasti” che depositano materiale osseo e gli “osteoclasti” che invece lo degradano. L’osteoporosi si sviluppa quando le due popolazioni cellulari non sono più in equilibrio e quindi non viene prodotto abbastanza osso nuovo per sostituire quello già presente o quando ne viene riassorbito troppo oppure se si verificano entrambe le condizioni.

Nella menopausa aumenta il rischio di sviluppare osteoporosi perché diminuisce la produzione degli estrogeni, i principali ormoni femminili che giocano un ruolo importante nel rimodellamento osseo.

Altre cause di riduzione della massa ossea sono per esempio l’inattività (es. essere forzati a letto per lunghi periodi), alcuni farmaci (come i corticosteroidi e gli inibitori dell’aromatasi utilizzati per il tumore al seno), malattie renali e anoressia.

Inoltre una dieta povera di calcio e vitamina D è un fattore di rischio per osteoporosi perché il calcio è un minerale fondamentale per la formazione dell’osso e viene assorbito con più efficacia se i livelli di Vitamina D sono adeguati.

 

Quali sono i sintomi dell’osteoporosi?

L’osteoporosi è una malattia silente e l’esordio dei sintomi coincide con la comparsa di una frattura da fragilità. In caso di frattura vertebrale generalmente si avverte improvvisa comparsa di intenso dolore alla schiena. Con il susseguirsi delle fratture vertebrali si può andare incontro a diminuzione dell’altezza e deformazioni della colonna, che possono anche determinare difficoltà respiratorie e digestive.

 

Diagnosi

La diagnosi di osteoporosi si basa in primo luogo sull’esecuzione della densitometria ossea (DEXA o MOC), un esame che permette di calcolare la densità minerale ossea. Le aree generalmente valutate sono la colonna lombare e il femore. I dati ricavati vengono poi confrontati con quelli attesi, per poi esprimere un valore numerico chiamato “Tscore”. Se questo valore si discosta oltre un certo grado dal valore di normalità della popolazione sana (<-2.5), si può sospettare una diagnosi di osteoporosi.

La diagnosi e la connotazione del tipo e della severità dell’osteoporosi andranno confermate mediante ulteriori indagini:

-cliniche: attenta valutazione del paziente mediante raccolta di informazioni relative alla storia medica e attraverso visita medica;

-esami di laboratorio: alcuni esami del sangue e delle urine (calcio, fosforo, calciuria nelle 24 ore, fosfaturia nelle 24 ore, fosfatasi alcalina ossea, paratormone, osteocalcina, 25-OH vitamina D) permettono di valutare lo stato di salute del metabolismo dell’osso e di escludere cause secondarie di osteoporosi ed altre patologie osteopenizzanti;

-strumentali: la radiografia o la risonanza magnetica della colonna vertebrale possono essere utili per diagnosticare e datare le fratture vertebrali ossia per valutare se si tratta di lesioni recenti oppure pregresse.

 

Trattamenti

La terapia dell’osteoporosi si basa su:

-corretto stile di vita: attività fisica regolare, evitare fumo e abuso di bevande alcoliche.

-integrazione di calcio: il calcio è presente soprattutto in latte e derivati, ma l’apporto quotidiano varia con l’età e può essere necessario integrarne l’assunzione con supplementi.

-integrazione di vitamina D: la vitamina D viene prodotta nella cute con l’esposizione al sole e quindi la produzione aumenta nei mesi estivi, ma questo può non bastare e richiedere la supplementazione in caso di livelli inadeguati.

-farmaci contro il riassorbimento osseo: sono rappresentati in primo luogo dai “bisfosfonati” che agiscono inibendo gli osteoclasti per impedire la degradazione ossea. I bisfosfonati con indicazione per il trattamento dell’osteoporosi includono l’alendronato, il risedronato, l’ibandronato, lo zoledronato e il clodronato. Tali farmaci possono essere somministrati attraverso varie vie (orale, intramuscolare, endovenosa) con cadenza settimanale, mensile oppure anche annuale (nel caso dello zoledronato).

Altri farmaci più recentemente sviluppati e utilizzati nelle forme più severe di osteoporosi sono:

-teriparatide: è un analogo del paratormone, che agisce favorendo la deposizione di materiale osseo;

-denosumab: è un anticorpo monoclonale diretto contro una molecola che si chiama RANKL, che agisce bloccando l’attivazione degli osteoclasti.

In casi selezionati si possono inoltre utilizzare il raloxifene (modulatore selettivo dei recettori per gli estrogeni) o il ranelato di stronzio.

In caso di frattura da fragilità a livello vertebrale è necessaria in primo luogo una terapia anti-dolorifica e l’utilizzo di un bustino ortopedico, ma in caso di ritardato consolidamento della frattura o di dolore incoercibile può essere indicata una valutazione neurochirurgica per eventuale intervento di vertebroplastica o cifoplastica.

Humanitas ritiene che lo studio e la conoscenza dell’osteoporosi sia fondamentale e a questo proposito ha creato percorsi dedicati alla malattia e studi di ricerca in laboratorio per approfondirne i meccanismi.

L’ unità operativa di Reumatologia di Humanitas è centro prescrittore di tutti i farmaci utilizzati nell’osteoporosi. Sono già istituiti ambulatori dedicati alle malattie osteometaboliche e uno, in collaborazione con l’Oncologia, per seguire da questo punto di vista  le donne con tumore al seno a rischio di osteoporosi.

Humanitas è anche molto attenta alla ricerca. L’UO di Reumatologia, infatti, partecipa attivamente a studi clinici sui nuovi farmaci per il trattamento dell’osteoporosi.

 

Prevenzione

Si pensa, erroneamente, che  l’osteoporosi sia un naturale processo di invecchiamento e che pertanto non sia possibile prevenirla.

Nella realtà, invece, una forma di prevenzione è possibile: nelle persone che già presentano una riduzione della densità ossea è possibile rallentarne la progressione e ridurre conseguentemente il rischio di fratture.

 

 

Visita ortopedica al ginocchio

Visita ortopedica al ginocchio

 

La visita ortopedica del ginocchio è una visita specialistica condotta da un medico ortopedico sull’articolazione del ginocchio.

 

 

A cosa serve la visita ortopedica del ginocchio?

 

Questa visita specialistica permette di identificare o quantomeno ipotizzare le cause di dolori, rigidità, blocchi, instabilità e difficoltà a camminare associate al ginocchio.

Fra le patologie che possono portare nell’ambulatorio di un ortopedico per una visita del ginocchio sono incluse l’artrosi, il ginocchio varo o il ginocchio valgo, disturbi alla rotula, lesioni del menisco o dei legamenti crociati, la borsite della zampa d’oca e la sindrome della Benderella ileotibiale.

Al termine della visita il medico potrebbe prescrivere indagini diagnostiche di approfondimento, come tac, ecografie o risonanze magnetiche.

 

 

Come si svolge la visita ortopedica del ginocchio?

 

Durante la visita al ginocchio il medico si informerà sullo stile di vita del paziente (ad esempio sul tipo di lavoro e di sport svolti), sulla sua storia clinica e sui sintomi di cui soffre. In seguito valuterà l’aspetto generale del ginocchio in posizione eretta e la sua morfologia, per poi proseguire con una palpazione. Infine verrà valutata la mobilità dell’articolazione. La visita è in genere estesa anche ai muscoli vicini al ginocchio.

 

 

Sono previste norme di preparazione?

 

La visita ortopedica del ginocchio non prevede una preparazione specifica. Il paziente deve però portare con sé eventuali referti di analisi, ad esempio radiografie, condotte nel passato recente.

Visita ortopedica al gomito

Visita ortopedica al gomito

 

Si tratta di una visita medica condotta da uno specialista in ortopedia in cui l’attenzione viene concentrata sul gomito. I motivi più frequenti che rendono necessaria questa visita sono dolori o irrigidimenti causati da sollecitazioni eccessive dell’articolazione del gomito durante il lavoro o lo sport o da patologie come l’artrosi.

 

 

A cosa serve la visita ortopedica al gomito?

 

Una visita ortopedica al gomito permette di identificare le cause dei problemi del paziente a livello di questa articolazione o quantomeno di elaborare un’ipotesi diagnostica da approfondire con accertamenti successivi eventualmente prescritti dallo stesso medico ortopedico al termine della visita.

Le problematiche che possono essere individuate nel corso della visita includono fratture, lussazioni, artropatie, borsiti, compressioni dei nervi, rotture dei tendini, anchilosi, epicondilite ed epitrocleite.

 

 

Come si svolge la visita ortopedica al gomito?

 

Per prima cosa il medico procederà alla raccolta dei dati del paziente (età, lavoro, attività fisica, storia clinica e sintomi passati). In questo modo sarà più facile elaborare una diagnosi completa.

Seguirà un esame obiettivo che può includere la valutazione manuale dell’articolazione, test come la flessione passiva del polso (test di Mills), l’estensione attiva contrastata del polso (test di Cotzen) e la valutazione della sensibilità del gomito alla palpazione.

Al termine della visita potrebbero essere prescritte indagini strumentali come radiografia, Tac o risonanza magnetica.

 

Sono previste norme di preparazione?

 

La visita ortopedica al gomito non richiede alcuna preparazione. Il paziente è semplicemente invitato a portare con sé eventuali referti di analisi condotte in precedenza (ad esempio radiografie recenti).

Visita ortopedica al piede

Visita ortopedica al piede

 

La visita ortopedica del piede è una visita specialistica condotta da un medico ortopedico per verificare la presenza di eventuali problematiche a carico di questa parte dello scheletro.

 

 

A cosa serve la visita ortopedica del piede?

 

La visita ortopedica del piede permette di diagnosticare problematiche come il piede piatto, la fascite plantare, la spina calcaneare, l’alluce valgo e l’alluce rigido, la distorsione dell’articolazione dell’alluce, il neuroma di Morton e deformità delle dita.

Grazie alla visita specialistica è possibile avere una diagnosi certa del problema e identificare la terapia più adatta per recuperare la funzionalità del piede. Per raggiungere questi obiettivi potrebbe essere necessario sottoporsi a indagini diagnostiche specifiche, ad esempio radiografie o Tac, che saranno eventualmente prescritte dal medico al termine della visita.

In altri casi la visita ortopedica potrebbe essere necessaria per monitorare l’evoluzione di problematiche come il piede piatto.

 

 

Come si svolge la visita ortopedica del piede?

 

Durante la visita ortopedica del piede il medico raccoglierà informazioni sul paziente, sul suo stile di vita, sulla sua storia clinica e sui sintomi che lo disturbano. In seguito condurrà un esame obiettivo del piede, osservandolo direttamente o utilizzando strumenti che permettono, ad esempio, di visualizzare la volta del piede.

 

 

Sono previste norme di preparazione?

 

La visita ortopedica del piede non prevede una preparazione specifica. Il paziente è invitato a portare con sé eventuali referti di analisi, ad esempio radiografie, condotte in passato e che potrebbero essere utili alla valutazione della situazione.

Visita ortopedica alla spalla

Visita ortopedica alla spalla

 

La visita ortopedica alla spalla è un elemento fondamentale nel percorso verso l’identificazione delle cause dei problemi a carico di questa struttura. Nella maggior parte dei casi chi si rivolge a un ortopedico per una visita alla spalla lo fa a causa di un dolore che localizza in questa parte dello scheletro.

 

A cosa serve la visita ortopedica alla spalla?

 

La visita ortopedica alla spalla serve per confermare che il dolore percepito dal paziente è realmente legato a questa specifica articolazione. Attraverso la visita specialistica è inoltre possibile ipotizzare le cause alla base di questi sintomi (ad esempio un trauma o una malattia).

 

Come si svolge la visita ortopedica alla spalla?

 

Durante una visita alla spalla l’ortopedico raccoglie i dati  sulla storia personale e clinica del paziente, in modo da poter formulare una diagnosi sulla base della sua età, del suo lavoro, delle attività sportive praticate, di eventuali traumi di cui è stato vittima e del tipo di disturbo con cui ha a che fare.

L’anamnesi è completata da un esame obiettivo basato su test funzionali. Quelli tradizionalmente impiegati sono il test per il conflitto, il test per la cuffia dei rotatori, il test per il capo lungo del bicipite, il test per il labbro glenoideo e il test per l’instabilità.

La visita potrebbe concludersi con la prescrizione di esami strumentali che permettono di confermare, completare o approfondire la diagnosi.

 

Sono previste norme di preparazione?

 

Al paziente non è richiesta alla preparazione per questa tipologia di visita se non quella di portare con sé esami ed analisi effettuati in passato soprattutto se radiologici.

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