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Fibroadenoma

Fibroadenoma

 

Il fibroadenoma è la forma di tumore benigno al seno più diffusa ed è più frequente nelle donne al di sotto dei trent’anni. La presenza del fibroadenoma non aumenta il rischio di sviluppare un carcinoma mammario. Raramente, carcinomi intraduttali o invasivi possono svilupparsi all’interno di un fibroadenoma, ma questo può avvenire, non per particolari condizioni predisponenti date dalla presenza del fibroadenoma, ma per gli stessi motivi per cui si può sviluppare in altre aree della mammella. Studi scientifici hanno anche individuato un’associazione tra fibroadenomi multipli e sindromi tumorali rare come la sindrome di Maffucci, la sindrome di Cowden e la sindrome di Carney.

 

Che cos’è il fibroadenoma?

Il fibroadenoma è un tumore benigno che si forma più frequentemente negli anni in cui la donna è fertile. La sua massa è formata da ghiandola mammaria e dal tessuto che la circonda.

Le sue dimensioni possono aumentare nel corso del tempo, soprattutto durante la gravidanza, mentre capita spesso che i fibroadenomi rimangano stabili dimensionalmente dopo la menopausa.

Generalmente i fibroadenomi sono costituiti singoli, solo circa il 10-20% è bilaterale. Fibroadenomi con un volume superiore ai 5 centimetri sono chiamati fibroadenomi giganti.

 

Quali sono le cause del fibroadenoma?

Le cause alla base della formazione di questo particolare tumore benigno sono attualmente ignote. Per lo più la comunità scientifica ritiene che siano gli ormoni sessuali a rivestire un ruolo predominante nel suo sviluppo.

 

Quali sono i sintomi del fibroadenoma?

I fibroadenomi si presentano come noduli isolati, duri al tatto che si muovono facilmente sotto alla pelle, solitamente indolori e dai margini ben definiti.

 

Come prevenire il fibroadenoma?

Non esistono comportamenti particolari per prevenire la formazione di un fibroadenoma. La diagnosi precoce può però essere favorita da controlli regolari e dall’autopalpazione del seno.

 

L’utilizzo della terapia anticoncezionale in presenza di fibroadenomi è ancora controbattuto. Non ci sono chiare evidenze scientifiche che controindichino l’utilizzo della pillola anticoncezionale se presenti fibroadenomi mammari. Alcuni studi evidenziano una riduzione dimensionale dei fibradenomi in pazienti che assumono contraccettivi orali.

 

Le donne che si avvicinano alla menopausa devono essere informate circa la possibilità che i cambiamenti ormonali favoriscano una parziale regressione spontanea, ma è altrettanto importante che le donne in menopausa tengano sotto controllo la comparsa di nuovi noduli attraverso l’autopalpazione e con lo screening mammografico, informandone tempestivamente il medico per il rischio che possa essere un nodulo tumorale.

 

Diagnosi

La diagnosi di fibroadenoma prevede:

una vista senologica e solitamente anche una ecografia al seno che consente di distinguere il fibroadenoma da una cisti a contenuto liquido denso, cosa non sempre facile se il nodulo è di piccole dimensioni.

mammografia e agobiopsia mammaria nei casi in cui le caratteristiche ecografiche siano sospette per carcinoma mammario.

 

Trattamenti

In caso di fibroadenoma, se l’ecografia o la eventuale biopsia hanno accertato la natura non maligna del nodulo e se lo stesso non aumenta velocemente di dimensioni, il trattamento può essere di tipo conservativo, verificando l’evoluzione del nodulo nel tempo mediante controlli clinici ed ecografici senza nessun particolare pericolo.

 

Tuttavia, nel caso in cui la presenza del fibroadenoma fosse associata a dolori o altri sintomi, se le sue dimensioni dovessero aumentare sopra i 3 centimetri o qualora fossero presenti un’anomala vascolarizzazione o bordi irregolari, il medico potrebbe consigliarne l’asportazione chirurgica.

La rimozione del fibroadenoma non comporta l’asportazione del tessuto mammario circostante perché solitamente è ben capsulato, non infiltra il tessuto circostante, ma tende a comprimerlo, per cui l’intervento non lascia tracce rilevanti nella forma del seno, anche in caso di noduli di grosse dimensioni, in quanto la ghiandola si riespande spontaneamente, una volta asportato il nodulo.

Endometriosi

Endometriosi

 

Con il termine endometriosi si indica un disturbo patologico benigna molto comune in ginecologia e in medicina della riproduzione. Si tratta si una patologia che prevede la presenza di tessuto endometriale (il tessuto che normalmente si trova solo all’interno della cavità uterina) in sedi diverse da quelle fisiologiche.

È una patologia molto frequente nella popolazione generale e si calcola che possa interessare il 10-20% delle donne in età fertile.

Colpisce infatti prevalentemente donne tra i 25 e i 35 anni ed è praticamente assente nell’età pre-puberale e post-menopausale.

 

Che cos’è l’endometriosi?

L’endometriosi si presenta in un’ampia gamma di sedi, anche molto diverse tra loro, ma sicuramente quella più comune è quella ovarica, dove spesso si formano cisti con dimensioni che vanno da pochi millimetri sino a 10 centimetri e possono essere monolaterali o bilaterali. La cisti endometriosica contiene sangue che è a tutti gli effetti sangue mestruale, prodotto dalle cellule endometriali, le quali si comportano come se fossero nella loro sede naturale, l’utero. Queste cisti vengono definite anche cisti “cioccolato” per il colore del loro contenuto ematico.

 

Altre localizzazioni dell’endometriosi sono:

  • – il peritoneo pelvico (fossette ovariche, legamenti uterini, setto retto/vaginale, plica vescico/uterina, peritoneo pelvico peri viscerale).
  • – organi pelvici quali la vescica, l’uretere o l’intestino.

Lo spessore della parete uterina (in questo caso l’endometriosi viene definita adenomiosi).

Organi o tessuti collocati in aree esterne alle pelvi, come la pleura (in questo caso si parla di endometriosi extra-pelvica e si tratta di manifestazioni più rare della patologia).

 

Quali sono le cause dell’endometriosi?

Nonostante si tratti di una patolopgia medica presa in grande considerazione dalla comunità medica, gli studiosi e i ricercatori non hanno ancora definito il meccanismo specifico che sta alla base della sua formazione.

Una delle teorie più antiche, ma a tutt’oggi tra le più accreditate, è quella della cosiddetta “mestruazione retrograda”, ovvero che, durante la mestruazione, il sangue refluisca dall’utero nella pelvi, attraverso le tube, conducendo all’impianto di cellule endometriali sul peritoneo e sugli organi pelvici. Ma probabilmente questa teoria, da sola, non basta a spiegare l’insorgenza dell’endometriosi. Esistono poi numerosi studiosi che ritengono probabile una sua origine dovuta a metaplasia (ossia una modificazione ex novo) del tessuto di rivestimento della pelvi o da una disseminazione delle cellule endometriali per via linfatica o ematica (quasi come un vero e proprio meccanismo metastatico).

Si prende anche in considerazione l’ipotesi che sia la predisposizione genetica l’origine vero e proprio dello sviluppo dell’endometriosi o un’alterazione del sistema immunitario, che permetta, in alcune donne, l’impianto di queste cellule e lo impedisca in altre.

 

Quali sono i sintomi dell’endometriosi?

Esistono numerose casistiche registrate che presentan situazioni in cui l’endometriosi è priva di sintomi e viene occasionalmente scoperta attraverso un’indagine ecografica di routine o nel corso di un intervento laparoscopico (eseguito nella maggior parte dei casi per infertilità).

Altre volte, la malattia è caratterizzata da una serie di sintomi che possono diventare anche molto invalidanti:

  • Dolore pelvico, soprattutto in fase peri-mestruale;
  • Mestruazioni dolorose (dismenorrea);
  • Dolore durante i rapporti sessuali (dispareunia), accentuata soprattutto nel periodo pre e post mestruale;
  • Irregolarità dei cicli mestruali con sanguinamenti anomali;
  • Dolore alla defecazione;
  • Sterilità.

 

Qual è l’associazione tra endometriosi e infertilità?

L’associazione dell’endometriosi con la sterilità non è del tutto chiarita. Nelle endometriosi di alto grado l’infertilità è essenzialmente dovuta a fattori meccanici dati dal sovvertimento degli organi pelvici e alla formazione di aderenze con conseguente alterazione dei rapporti tra le tube e le ovaie. Inoltre, i grossi endometriomi ovarici potrebbero contrastare i normali meccanismi ovulatori, così come la presenza di adenomiosi uterina potrebbe avere un impatto decisamente non negativo con le possibilità di avere una gravidanza.

Meno spiegabile è invece il rapporto tra l’infertilità e gradi leggeri di endometriosi, in cui entrano probabilmente in gioco fattori infiammatori immunologici e vascolari non ancora del tutto chiariti.

 

Diagnosi

Nell’iter diagnostico, molto importante è l’anamnesi accurata della paziente. La prassi per identificare il disturbo vuole che la donna risponda ad una specifica serie di domande, soprattutto se soffre di patologie collegabili all’infertilità, se manifesta uno dei sintomi che possano essere riferiti alla presenza di endometriosi, ossia dolore pelvico cronico o ciclico, senso di peso, dolori mestruali in aggravamento, dolori durante i rapporti sessuali (in particolare durante la penetrazione profonda), dolori alla defecazione.

Il secondo step è l’esame fisico della paziente, che può permettere di diagnosticare localizzazioni endometriosiche a livello del setto retto vaginale, sulla cervice uterina o a livello dei fornici vaginali. L’esame fisico può inoltre rilevare particolari “fissità” degli organi pelvici, che devono far sospettare la presenza di endometriosi.

Uno strumento molto importante di diagnosi è l’ecografia trans vaginale. Attraverso l’esame ecografico è possibile visualizzare le formazioni cistiche endometriosiche a carico delle ovaie, dell’utero e degli altri organi pelvici, nonché cercare di identificare un eventuale sovvertimento anatomico che diverse casistiche di endometriosi comportano.

 

In casi molto selezionati può essere richiesta una RMN della pelvi, ma, dato il costo della procedura, la quale spesso non migliora le capacità diagnostiche di una buona ecografia trans vaginale, il suo utilizzo va limitato a quesiti particolari o per endometriosi che interessino organi non ginecologici (uretere, intestino, localizzazioni extra pelviche della malattia).

Lo strumento che meglio di ogni altro permette di rilevare l’endometriosi e di stadiarla è la laparoscopia. La laparoscopia è una tecnica chirurgica cosiddetta non-invasiva, nella quale, attraverso l’introduzione di una sonda collegata a una telecamera, nell’ombelico, è possibile visualizzare gli organi pelvici e, se necessario, sottoporli a interventi operativi.

 

La laparoscopia consente di poter arrivare ad una diagnosi di endometriosi in pazienti non sintomatiche, confermare la diagnosi ecografica di endometriosi o visualizzare i piccoli impianti peritoneali non visualizzabili con l’ecografia transvaginale. Infatti, la laparoscopia, tramite l’azione di magnificazione, permette l’individuazione di noduli endometriosici anche molto piccoli.

Non tutte le pazienti vanno avviate a una laparoscopia. È compito infatti dello specialista decidere in quali casi sia necessario suggerire uno strumento di diagnosi chirurgica.

Nelle donne asintomatiche il ricorso alla laparoscopia non è giustificato. È lo specialista che decide, caso per caso, quali pazienti avviare a una indagine laparoscopica.

La laparoscopia permette di eseguire una stadiazione della malattia endometriosica, secondo una classificazione creata dalla Società Americana di Medicina Riproduttiva nel 1996.

 

Trattamenti

La terapia dell’endometriosi si avvale di varie strategie che vanno dalla semplice osservazione, alle terapie mediche, alle terapie chirurgiche.

Alle pazienti asintomatiche e/o con piccoli endometriomi a carico delle ovaie e/o con impianti peritoneali non rilevanti, può essere proposta una semplice condotta d’attesa.

 

Le terapie mediche possono essere proposte alle pazienti che presentano sintomatologia dolorosa o per prevenire le recidive di endometriosi in pazienti già sottoposte a chirurgia.

I presidi medici più comunemente usati sono i preparati a base di progesterone o le associazioni estro progestiniche, ossia la classica pillola anticoncezionale, farmaci che possono essere utilizzati per lunghissimo tempo e che agiscono molto bene sulla risoluzione del dolore. Esistono poi altri farmaci, più costosi e non utilizzabili a lungo, il cui utilizzo va valutato dallo specialista.

Le terapie mediche non vengono prescritte per guarire l’endometriosi, ma per tenerne sotto controllo i sintomi, migliorando così la qualità di vita delle pazienti affette da questa patologia.

 

Il ricorso alla chirurgia deve essere valutato sempre molto attentamente e le indicazioni oggi sono quelle di sottoporre a intervento chirurgico solo quei casi in cui non ci sono alternative. La chirurgia infatti (e a maggior ragione quando non eseguita in modo corretto) può portare a degli effetti collaterali che determinano una diminuzione del potenziale riproduttivo della donna per una riduzione della sua riserva ovarica. Infatti, durante l’asportazione del tessuto endometriosico, spesso si danneggiano anche i tessuti sani, diminuendo per esempio il numero degli ovociti presenti nell’ovaio operato o creando alterazioni nella vascolarizzazione d’organo con conseguente diminuzione della sua funzione.

 

La tecnica chirurgica considerata il gold standard per l’endometriosi è la laparoscopia, che deve essere sempre però eseguita da chirurghi esperti, che abbiano a cuore la salute riproduttiva della donna e che utilizzino modalità chirurgiche corrette (per esempio l’asportazione di una cisti ovarica mediante l’identificazione del suo piano di clivaggio e il successivo stripping, ossia l’asportazione della sola capsula della cisti – nonché l’utilizzazione di tecniche di controllo dell’emostasi, ossia dei sanguinamenti, non troppo pesanti).

Dismenorrea (dolori mestruali)

Dismenorrea (dolori mestruali)

 

Dismenorrea è il termine medico con cui vengono indicati i dolori associati al ciclo mestruale. In alcuni casi, la sintomatologia è gestibile con facilità grazie a trattamenti come l’assunzione di antidolorifici; per alcune donne, invece, si tratta di un problema estremamente debilitante che può interferire con le normali attività quotidiane.

 

Che cos’è la dismenorrea?

La dismenorrea è un disturbo che accumuna moltissime donne, soprattutto quelle che rientrano nella fascia d’età sotto i 20 anni o le donne che hanno avuto il primo ciclo prima degli 11 anni, quelle che soffrono di mestruazioni abbondanti o che hanno un ciclo irregolare, le donne che non hanno avuto figli o le cui madri soffrono o hanno sofferto di dismenorrea, nonché le donne con il vizio del fumo. In linea di massima la dismenorrea non viene collegata a ulteriori complicazioni dell’apparato riproduttivo, ma se a causarla sono patologie specifiche, la sintomatologia algica può interessare anche la fase pre e post mestruale e a volte può arrivare a causare la comprimissione anche più seria della qualità della vita, così da creare scompensi con la sfera del lavoro e delle altre attività che fanno parte della routine quotidiana

 

Quali sono le cause della dismenorrea?

Frequentemente la causa originaria del dolore mestruale non è una sola causa specifica. In questo caso si parla di dismenorrea primaria. Nei casi di dismenorrea secondaria, invece, i sintomi sono legati a patologie dell’apparato riproduttivo, come l’endometriosi, l’adenomiosi, fibromi uterini, infezioni o stenosi (restringimenti) della cervice uterina. Le contrazioni dell’utero promosse dalle prostaglandine, ossia molecole associate all’infiammazione, sono la causa scatenante dei dolori che a volte assumono entità anche molto dolorosa. Alcuni medici ritengono che nel momento in cui queste assumono eccessiva intensità, i vasi sanguigni si ristringono irrorando l’utero e limitando l’apporto di ossigeno per periodi di scarsa entità.

 

Quali sono i sintomi della dismenorrea?

La dismenorrea si presenta come una serie di dolori crampiformi e colici (ossia con momenti di maggior sofferenza e momenti in cui il dolore è minore) che colpisce la parte bassa dell’addome. La sintomatologia dolorosa può estendersi alla parte bassa della schiena e agli arti inferiori e può essere associata a nausea, vomito, vertigini, sudorazione intensa ed episodi diarroici. Nel caso della dismenorrea primaria in genere i dolori iniziano 1 o 2 giorni prima delle mestruazioni e durano per 12-72 ore, si riducono con l’avanzare degli anni e possono scomparire dopo la prima gravidanza. Quando si presenta invece come secondaria, il dolore della dismenorrea di presenta prima e dura per periodi maggiori senza essere associato ad ulteriori sintomatologie.

 

Come prevenire la dismenorrea?

Non è attualmente noto un trattamento per la dismenorrea. Tuttavia, un’alimentazione sana può aiutare a ridurre i sintomi.

 

Diagnosi

La diagnosi di dismenorrea prevede l’incontro con il medico specialista, il quale chiede alla paziente di descrivere i sintomi avvertiti ed esamina lo stato di salute degli organi riproduttivi attraverso la visita e l’ecografia transvaginale.

In caso di sospetta dismenorrea secondaria possono essere prescritti i seguenti esami:

  • Risonanza magnetica
  • Isteroscopia
  • Laparoscopia

 

Trattamenti

Nel caso della dismenorrea secondaria la terapia più adatta dipende dalla patologia associata ai dolori. Solo trattando quest’ultima è infatti possibile eliminare o ridurre il dolore.

In caso di dismenorrea primaria l’unico approccio terapeutico possibile è quello a base di farmaci antinfiammatori non steroidei, che aiutano a contrastare il dolore, o di anticoncezionali. La pillola, infatti, impedisce l’ovulazione e, quindi, riduce l’intensità degli spasmi dell’utero.

Spesso inoltre si ricorre alla supplementazione di magnesio (che riduce gli spasmi muscolari) in fase pre-mestruale.

Clamidia

Clamidia

 

La Clamidia è una malattia sessualmente trasmessa causata dall’infezione di un microrganismo, la Clamidia Trachomatis. Questo batterio si trasmette prevalentemente attraverso i rapporti sessuali. È ammessa anche la trasmissione verticale da madre a figlio durante la gravidanza.

L’infezione da Clamidia colpisce prevalentemente le donne, ma non disdegna il sesso maschile. La malattia è quasi sempre asintomatica, oppure può dare sintomi modesti che vanno dall’irritazione vaginale a bruciori e irritazione durante la minzione, sino alla sensazione di peso e dolenzia a livello pelvico e a perdite ematiche vaginali. Se l’infezione progredisce, possono esserne intaccate le tube e le ovaie, con la formazione di processi infiammatori a loro carico (idrosalpinge, ascesso tubarico, sindromi aderenziali) e l’aggravamento dei sintomi (dolori addominali, febbre, diarrea, nausea). I processi infiammatori a carico della pelvi e delle tube, portano a una diminuzione della funzione degli organi riproduttivi, con rischio di infertilità.

Di frequente, quindi, proprio la sua natura di malattia “silenziosa” porta a trascurare i rischi, che, invece, in alcuni casi possono essere molto importanti. Basti pensare che la Clamidia è una delle malattie sessualmente trasmesse più diffuse al mondo, insieme a Gonorrea e Sifilide (in passato chiamate malattie veneree). Per questo quando si presentano sintomi anche transitori, ma anomali, bisognerebbe riferirli subito al medico curante per gli esami del caso.

 

Che cos’è la clamidia?

La Clamidia è un’infezione batterica, causata da un microorganismo, la Clamydia trachomatis ed è una delle più comuni. Decisamente frequente nelle donne, affligge indifferentemente uomini e donne, con un picco intorno ai vent’anni, ossia all’inizio della vita sessuale attiva. Il batterio si trasmette, infatti, prevalentemente attraverso rapporti sessuali non protetti, vaginali, anali e orali, e anche durante la gravidanza dalla madre al feto.

 

Quali sono i sintomi della clamidia?

I sintomi della Clamidia sono spesso lievi e transitori. Generalmente includono:

  • Dolore mentre si urina (dolore minzionale)
  • Macchie arrossate sui genitali
  • Dolori al basso ventre o senso di peso
  • Prurito genitale e pubico
  • Perdite vaginali nelle donne
  • Rapporti sessuali dolorosi nelle donne (dispareunia)
  • Dolore ai testicoli negli uomini
  • Dolore rettale nell’uomo e nella donne
  • Ingrossamento dei linfonodi inguinali

 

Quali sono le cause della clamidia?

La causa della malattia è un batterio, la Clamydia trachomatis, che si trasmette durante i rapporti sessuali e per via materno-fetale.

 

Diagnosi

La diagnosi della patologia a volte è semplice e rapida. Generalmente si esegue mediante:

Un tampone vaginale e cervicale, nel caso delle donne, uretrale o anale nel caso di entrambi i sessi.

Un test colturale delle urine, per uomo e donna, per individuare la presenza del batterio.

 

A volte la diagnosi è più difficile e si attua solo attraverso la laparoscopia, esame endoscopico che si effettua introducendo uno strumento ottico, collegato a una telecamera, in addome. La laparoscopia permette l’individuazione delle aderenze formatesi a carico degli organi pelvici e delle alterazione delle tube e delle ovaie a seguito del processo infiammatorio acuto o cronico.

 

Trattamenti

La Clamidia si cura con antibiotici mirati. Sono necessarie, mediamente, due settimane di cura durante le quali si assume l’antibiotico prescritto dallo specialista. L’antibiotico è in grado di debellare l’infezione, ma non di eliminare i danni d’organo creati dal microorganismo.

 

Come prevenire la clamidia?

La prevenzione delle malattie sessualmente trasmesse risiede principalmente nell’adozione di una sana e corretta vita sessuale (igiene durante e dopo i rapporti, utilizzo del preservativo, attenzione alla scelta dei partners sessuali). Nelle malattie a trasmissione sessuale il preservativo non è sempre sufficiente a proteggere completamente dalle malattie, ma è il mezzo più efficace per ridurre il rischio di infezione.

 

Cistocele

Cistocele

 

Il cistocele è un prolasso della vescica, ossia una specifica problematica dell’organismo umano che prevede una situazione in cui il tessuto di supporto tra vescica e parete vaginale risulta indebolita e questo porta alla formazione di una vescica sporgente all’interno della stessa vagina.

 

Che cos’è il cistocele?

A volte la vescica può arrivare a sporgere nella vagina: questo prolasso prende il nome di cistocele ed è associato a un indebolimento del tessuto di supporto 0mpresente fra i due organi. Il rischio di avere a che fare con questa condizione aumenta in caso di parto naturale, nelle donne sottoposte a isterectomia e con l’invecchiamento, soprattutto dopo la menopausa, quando i livelli degli ormoni che contribuiscono a rafforzare i muscoli pelvici diminuiscono. A volte entra in gioco anche la predisposizione genetica. Alcune donne, infatti, nascono con tessuti connettivi più deboli, una condizione che le rende più predisposte allo sviluppo di un cistocele.

 

Quali sono le cause del cistocele?

La formazione del cistocele è associata a un indebolimento dei muscoli e dei legamenti del pavimento pelvico, che può essere dovuto all’invecchiamento o a traumi variabili dalle forze cui sono sottoposti durante il parto a una tensione muscolare cronica. Fra i fattori di rischio sono inclusi la gravidanza e il parto naturale, il sovrappeso e l’obesità, il sollevamento ripetuto di pesi eccessivi, gli sforzi associati ai movimenti intestinali e tosse o bronchite croniche.

 

Quali sono i sintomi del cistocele?

I casi di cistocele lievi possono rimanere asintomatici. Nelle altre situazioni i sintomi possono arrivare ad includere una larga gamma di sensazioni tra cui anche un senso di pienezza o di pressione a livello pelvico e vaginale (soprattutto quando si rimane in piedi a lungo), un fastidio che aumenta in caso di sforzo, tosse, pressione o sollevamenti, la protrusione di tessuti che nei casi più gravi possono fuoriuscire dalla vagina dando la sensazione di essere sedute su un uovo e che possono rientrare nei momenti in cui si assume una posizione sdraiata, la sensazione di non aver svuotato completamente la vescica dopo la minzione, infezioni ripetute alla vescica e dolore o perdita di urina durante i rapporti sessuali.

Cisti alle ovaie

Cisti alle ovaie

 

Le cisti ovariche sono neoformazioni sviluppatesi nelle ovaie, i due organi dove sono contenuti e maturano i gameti femminili (ovociti), posti lateralmente all’utero e in connessione con esso attraverso le tube. La formazione di cisti ovariche è un fenome che accade regolarmente e spesso non assume il carattere patologico che occorre invece curare, essendo legato al funzionamento delle ovaie. Si parla in questo caso di cisti funzionali che, quasi sempre, si riassorbono in modo spontaneo. Le cisti funzionali non causano generalmente problematiche nei soggetti femminili, anche se di grandi dimensioni, spesso sono indolori e scompaiono all’arrivo del ciclo mestruale. In rari casi possono rompersi e causare dolore o complicazioni emorragiche, imponendo un trattamento tempestivo, a volte chirurgico.

 

Situazione completamente differente è quella che riguarda la sindrome dell’ovaio policistico, il quale non assume una vera e propria cisti, ma solo un numero di strutture follicolari (e quindi di ovociti) superiore alla media, con ripercussioni sulla regolarità del ciclo mestruale.

 

Che cosa sono le cisti alle ovaie?

Le ovaie sono ghiandole interessate da una attività dal carattere ciclico di intensa produzione ovocitaria, questa è per lo più connessa alla vita riproduttiva della donna e soggetta agli effetti degli ormoni sessuali che influiscono sulla produzione e maturazione dei follicoli. Spesso le cisti formatesi all’interno delle ovaie sono legate proprio a questa cronica attività di produzione e maturazione follicolare. Dato che sono dovute alla funzione dell’ovaio, vengono definite cisti funzionali e classificate in: cisti follicolari o luteiniche a seconda della fase del ciclo mestruale in cui si sviluppano.

 

Sono stati riscontrati anche casi in cui le cisti che hanno connessione diretta con il ciclo mestruale, ma sono delle specifiche neoformazioni dell’ovaio. Appartengono a questa categoria le cisti endometriosiche, i cistoadenomi sierosi o mucinosi e le cisti dermoidi.

 

Quali sono le cause delle cisti alle ovaie?

Le cisti funzionali si manifestano a partire dalla crescita con ritmo eccessivamente intenso di un follicolo, quelle formazioni con struttura simile a una cisti. Crescono e maturano rilasciando mensilmente l’ovulo pronto per la fecondazione. Esistono anche problematiche pertinenti che riguardano più specificatamente un follicolo che continua a svilupparsi e ad accumulare liquido nelle aeree interne, causando dunque una cisti che, generalmente, si riassorbe dopo qualche settimana.

 

Gli endometriomi sono cisti che si originano con la manifestazione di tessuto endometriale (il tessuto che normalmente si trova all’interno della cavità uterina) in sedi “anomale”, ossia diverse da quella fisiologica. La sede ovarica è quella in cui più frequentemente si localizza una cisti endometriosica. La cisti endometriosica ha al suo interno sangue mestruale, prodotto dalle cellule endometriali, le quali si comportano come se fossero nella loro sede naturale, l’utero. Queste cisti vengono definite anche cisti “cioccolato” per il colore del loro contenuto ematico. Le dimensioni variano da pochi millimetri sino a 10 centimetri e possono essere monolaterali o bilaterali.

Il cistoadenoma è un’altra tipologia di cisti sviluppatasi sull’area propria del tessuto ovarico: può essere piena di muco (cistoma mucinoso) o siero (cistoma sieroso). La cosiddetta cisti dermoide (o teratoma cistico maturo) è una formazione cistica di derivazione embrionaria che, oltre al sebo, tende ad includere e quindi contenere altri tessuti, come capelli, denti, frammenti di tiroide, ossa.

 

Quali sono i sintomi delle cisti alle ovaie?

Le cisti ovariche benigne generalmente non danno sintomi e spesso sono destinate a scomparire spontaneamente. Tuttavia, se la cisti tende a ingrandirsi oppure se si tratta di una cisti di natura endometriosica, si possono manifestare diversi sintomi che includono:

  • Dolore o senso di peso pelvico, che si intensifica nel periodo intorno al ciclo mestruale.
  • Dolore durante i rapporti sessuali (dispareunia).
  • Minzione frequente, per la pressione della cisti sulla vescica.
  • Dolore o fastidio intestinale.
  • Febbre
  • Aumento di volume dell’addome

 

In alcuni casi le cisti, più di frequente le cisti dermoidi o i cistoadenomi, possono torcersi, causando una condizione di dolore acuto che può richiedere un intervento chirurgico urgente.

Talvolta (in particolare se si tratta di cisti endometriosiche) possono interferire con la possibilità di ottenere una gravidanza o con l’andamento della gravidanza stessa.

 

Una cisti può anche rompersi, dando così inizio a fenomeni problematici e fastidiosi, nonché anche più gravi a volte, di dolore acuto e sanguinamento nella cavità peritoneale, oppure può infettarsi con conseguente febbre, dolore addominale e alterazioni dell’alvo (diarrea). Con più frequenza accade che le cisti ovariche è benigna ma, soprattutto dopo i 40 anni e in età post-menopausale, le cisti possono essere di natura tumorale maligna o borderline.

 

Come prevenire le cisti alle ovaie?

La prevenzione delle cisti ovariche si attua sottoponendosi regolarmente alle visite ginecologiche di controllo. È importante eseguire una visita specialistica con controllo ecografico, in presenza di sintomi di nuova insorgenza, come dolori pelvici, irregolarità del ciclo mestruale o aumento di volume dell’addome. L’utilizzo della pillola anticoncezionale permette una diminuzione del rischio di sviluppare una cisti ovarica.

 

Diagnosi

La diagnosi delle cisti ovariche si ottiene attraverso:

  • Esame obiettivo ginecologico
  • Ecografica pelvica trans vaginale o trans addominale. Questa indagine include l’esame principale per la rilevazione di una cisti ovarica, per determinarne della sua specifica essenza originale e dunque definirne la natura benigna o maligna.
  • Tecnica chirurgica che, attraverso l’introduzione di una telecamera all’interno dell’addome, permette di diagnosticare e al tempo stesso asportare una neoformazione ovarica. Dosaggio plasmatico di markers specifici per le neoformazioni ovariche, come il CA 125 o il Ca19,9, sostanze che, quando presenti a livelli elevati nel sangue, possono far sospettare una natura maligna e dare quindi l’indicazione a un intervento chirurgico. L’utilizzo di questi markers detiene in effetti delle specifiche indicazioni nelle attività di follow-up di cisti già operate piuttosto che nell’iter diagnostico di partenza.
  • TAC o Risonanza magnetica nucleare. In casi selezionati, per risolvere dubbi diagnostici sulla natura o sulla sede di una cisti.

 

Trattamenti

Le cisti ovariche sono spesso indolori e innocue. Le cisti funzionali, le più frequenti, scompaiono da sole in un paio di cicli mestruali. Se gli esami indicano la presenza di una cisti di natura benigna, ed essa è asintomatica, è necessario soltanto eseguire un monitoraggio ecografico periodico, per controllare aspetto e dimensioni della neoformazione.

Talvolta, il medico può anche prescrivere un contraccettivo orale che può permettere il riassorbimento o la riduzione volumetrica della cisti, ne riduce il rischio della formazione di nuove e lo sviluppo di un cancro ovarico.

La soluzione chirurgica si rende necessaria quando le cisti tendono ad aumentare di volume o presentano un cambiamento della loro morfologia, che può far sospettare la natura maligna o borderline della formazione. Può essere necessaria anche quando la presenza della cisti si associa a dolore pelvico o all’infertilità. L’intervento chirurgico può prevedere la semplice asportazione della cisti, oppure dell’intero ovaio, a seconda della natura della cisti, delle sue dimensioni e dell’età della paziente.

In presenza di cisti ovariche maligne può essere necessario asportare anche l’utero e l’ovaio contro laterale.

Cervicite

Cervicite

 

La cervicite è l’infiammazione della cervice uterina, o collo dell’utero, la porzione inferiore dell’utero, localizzata in fondo al canale vaginale.

 

Che cos’è la cervicite?

Spesso la cervicite è il risultato di un’infezione a trasmissione sessuale dovuta ad agenti patogeni come clamidia o gonorrea (la quale crea generalmente una cervicite muco-purulenta). Ma diverse possono essere le cause alla base di questa infezione. In alcuni casi la cervicite è asintomatica; in altri casi le donne che ne soffrono possono notare sanguinamenti intermestruali e cambiamenti nelle perdite vaginali.

 

Quali sono le cause della cervicite?

Diverse sono le cause alla base della cervicite, per lo più sovrapponibili a quelle che provocano la vaginite. Tra le più frequenti troviamo:

le infezioni sessualmente trasmesse da batteri e protozoi (tra cui gonorrea, clamidia, tricomoniasi) e virus (herpes genitale);

reazioni allergiche: l’allergia agli spermicidi o al lattice dei preservativi;

proliferazione batterica: una crescita eccessiva di alcuni batteri normalmente presenti nella vagina (condizione nota come “vaginosi batterica”) può portare all’infezione della cervice.

 

Quali sono i sintomi della cervicite?

Spesso la cervicite è asintomatica. Quando, invece, sono presenti sintomi, quelli più frequentemente riportati dalle pazienti sono:

  • cambiamento di colore, odore e/o quantità di secrezioni vaginali
  • prurito e/o bruciori
  • dolori durante i rapporti sessuali
  • sanguinamenti intermestruali e/o in seguito a rapporti sessuali

 

Come prevenire la cervicite?

I trattamenti e gli accorgimenti per la prevenzione della cervicite sono vari:

  • dopo aver utilizzato la toilette, è buona regola pulirsi dal davanti verso il dietro, e non il contrario: in questo modo si evita la diffusione di batteri presenti nelle feci in vagina e all’ingresso del collo dell’utero;
  • utilizzare il preservativo durante i rapporti sessuali aiuta a evitare le malattie sessualmente trasmesse, potenzialmente responsabili di cerviciti.

 

Diagnosi

La diagnosi deve essere fatta da un medico specialistico, il quale potrà avvalersi di:

  • esame obiettivo ginecologico durante il quale verrà effettuata una palpazione degli organi pelvici e un’osservazione visiva della cervice;
  • prelievo di fluido cervicale da far analizzare;
  • esame delle urine, per escludere infezioni delle vie urinarie.

 

Trattamenti

Molte infezioni alla cervice regrediscono spontaneamente. Quando, tuttavia, il medico ravvisi l’esigenza di sottoporre la paziente a trattamento, le opzioni disponibili variano in base al tipo di cervicite:

in caso di infezione batterica il trattamento prescritto sarà a base di antibiotici somministrati per via vaginale, orale o intramuscolare (nel caso per esempio dell’infezione gonococcica);

se la causa è virale, come nel caso dell’herpes genitale, il trattamento si baserà sulla somministrazione di farmaci antivirali per uso locale o sistemico;

nel caso di infezioni sessuali, per evitare di trasmetterle al proprio partner, è raccomandata l’astinenza dai rapporti sessuali fino a quando l’infezione non risulta regredita.

Candida

Candida

 

Che cos’è la candida?

L’infezione da Candida sta ad indicare in linea di massima la candidosi candidiasi, ossia l’infezione causata dalla Candida albicans, il fungo che si trova nelle mucose genitali. La Candida abita comunemente nella vagina, ma può mutare in patogena e causare conseguentemente irritazione anche grave alle mucose.

Le statistiche rivelano che i 2/3 circa delle donne in età fertile almeno una volta nella vita ne sono state affette. La candida albicans si trova anche nel cavo orale, in questo caso può causare un’infezione fastidiosa denominata mughetto.

 

Quali sono le cause della candida?

La candida albicans è naturalmente presente nel corpo umano e in una situazione normale non è fattore scatenanti di alcun fastidio. In determinate circostanze però può proliferare e manifestarsi con sintomi fastidiosi. Questo avviene, per esempio, dopo una terapia antibiotica, o anche nei soggetti immunodepressi, nelle donne diabetiche, in gravidanza o talvolta nelle donne che utilizzano i contraccettivi orali.

 

Quali sono i sintomi della candida?

Le infezioni da candida possono verificarsi sia in soggetti donne sia gli uomini.

Nelle donne i sintomi consistono per lo più in arrossamento delle mucose genitali, perdite bianche “tipo ricotta” e prurito; possono inoltre esserci dolore durante i rapporti sessuali e bruciore alla minzione, in quanto l’urina percorre i tratti di mucosa infiammata.

Gli uomini hanno invece un’eruzione cutanea con arrossamento al glande che talvolta può coinvolgere anche l’area del prepuzio, con conseguente bruciore. Tuttavia numerosi soggetti hanno anche lamentato episodi di perdite biancastre e materiale caseoso intorno al prepuzio, frequentemente le casistiche hanno evidenziato che i sintomi appaiono a seguito di rapporti sessuali.

 

Come prevenire la candida?

La Candidiasi non è necessariamente legata ai rapporti sessuali, anche se la trasmissione avviene per via sessuale e proprio per questo motivo il preservativo è un utile alleato nella prevenzione alla candida. Nella prevenzione della candidosi gioca un ruolo importante anche una corretta igiene intima, usando detergenti acidi. È consigliabile inoltre preferire biancheria di cotone ed evitare indumenti troppo stretti.

Molti medici consigliano anche l’assunzione di lattobacili (fermenti lattici) per via vaginale e/o orale ogni volta che si deve effettuare una terapia antibiotica.

 

Diagnosi

La candidosi può essere diagnosticata attraverso la storia clinica e l’esame obiettivo, oppure effettuando uno striscio vaginale nelle donne o un tampone uretrale negli uomini.

 

Trattamenti

La candida si cura con trattamenti antifungini, la terapia potrebbe prevedere sia farmaci per bocca, sia per uso locale (creme, ovuli o lavande).

È necessario trattare entrambi i partner sessuali, al fine di evitare il cosiddetto effetto “ping-pong”, ossia il passaggio dell’infezione dal partner non trattato all’altro.

Il trattamento può essere efficace nel bloccare l’infezione, impedendo al fungo di proliferare, ma non può eliminarlo dall’organismo; sono pertanto possibili recidive in futuro.

Amenorrea

Amenorrea

 

L’amenorrea è l’assenza di ciclo mestruale e viene generalmente suddivisa in:

  • Primaria: se la donna non ha mai avuto il ciclo mestruale, al compimento del sedicesimo anno di età
  • Secondaria: quando il ciclo mestruale, prima presente in modo più o meno regolare, si interrompe.

 

Che cos’è l’amenorrea?

I soggetti maggiormente a rischio sono tutte quelle donne che hanno problemi di alimentazione e soffrono di disturbi che le portano ad avere un indice di massa corporea troppo basso o troppo elevato e le atlete sottoposte a rigorosi programmi di allenamento. In questi casi si è in presenza di una vera e propria assenza di ovulazione che non permette dunque di portare a termine il concepimento e le donne che ne sono affette riscontrano seri problemi a rimanere incinte. L’amenorrea di lunga data, associata a bassi livelli estrogenici, conduce dunque a maggiori rischi di osteoporosi.

 

Quali sono le cause dell’amenorrea?

A volte l’amenorrea è una situazione normale nella vita di una donna, come durante il periodo di gestazione, l’allattamento, la menopausa e, in alcuni casi, a causa dell’assunzione di contraccettivi. In altri casi l’assenza di mestruazioni può essere causata da alcuni farmaci (ad esempio antipsicotici, chemioterapici, antidepressivi o antipertensivi), dallo stress, dal fatto di essere sottopeso, dall’eccessivo esercizio fisico o da squilibri ormonali (sindrome dell’ovaio policistico, iper e ipotiroidismo, tumori benigni dell’ipofisi, menopausa precoce). L’amenorrea può anche essere causata dalla presenza di aderenze nella cavità uterina (per esempio dopo raschiamenti ripetuti). L’amenorrea primaria è generalmente dovuta ad anomalie congenite dell’apparato riproduttore (utero, ovaie, vagina) o ad alterazioni della mappa cromosomica (come avviene per esempio nella sindrome di Turner).

 

Quali sono i sintomi dell’amenorrea?

In linea di massima è possibile affermare che il maggiore sintomo dell’amenorrea è l’assenza delle mestruazioni, fenomeno a cui si aggiunge in base alle casistiche altre problematiche sintomatiche quali acne, cute e capelli grassi, ipertricosi (aumento della peluria sul corpo, tipicamente sul viso), galattorrea (ossia fuoriuscita di liquido simile al latte dai capezzoli), caduta dei capelli, sterilità.

 

Come prevenire l’amenorrea?

Frequentemente l”amenorrea è dovuta a stili di vita poco salutari. È importante quindi avere un rapporto equilibrato con il cibo, che permette di mantenere una massa corporea idonea al corretto funzionamento degli ormoni coinvolti nel ciclo mestruale. Inoltre in molti hanno notato che anche la riduzione dello stress e un giusto equilibrio tra impegni lavorativi e momenti di riposo aiuta a prevenire i disturbi del ciclo mestruale.

 

Diagnosi

Un’accurata raccolta anamnestica, l’iter diagnostico dell’amenorrea che prevede la visita ginecologica abbinata all’ecografia trans vaginale e/o trans addominale, consentirà al medico ginecologico di valutare con una visione appropriata e completa l’apparato riproduttore, prendendo così in esame il funzionamento delle ovaie e dell’utero ed escludere cause malformative o genetiche.

Successivamente possono essere prescritti altri esami, fra cui:

  • test di gravidanza eseguito sulle urine o sul sangue (bhcg);
  • prelievo ematico in cui vengono valutati i livelli di alcuni ormoni di origine femminile o maschile (FSH – LH – PROLATTINA – TSH – ESTRADIOLO – PROGESTERONE – ORMONE ANTIMULLERIANO – TESTOSTERONE – CORTISOLO ecc);
  • isteroscopia (esame endoscopico che indaga la presenza di patologie a carico della cavità uterina);
  • In casi selezionati: risonanza magnetica della pelvi, laparoscopia.

 

Trattamenti

Il trattamento dell’amenorrea non è mai univoco e varia a seconda delle cause della problematica stessa.

Spesso, ci si limita all’osservazione e all’attesa di cicli mestruali spontanei, oppure (se la paziente non cerca figli) alla prescrizione della pillola contraccettiva

 

Nelle pazienti affette da squilibri dell’alimentazione, si agisce prevalentemente sul recupero o perdita del peso corporeo

Nei casi di amenorree anovulatorie in pazienti desiderose di prole, si stimola l’ovulazione con farmaci specifici, monitorando la crescita follicolare con ecografie seriate.

 

Se sussistono problemi a carico dell’ipofisi (per esempio nella eccessiva produzione di prolattina) o della tiroide verranno prescritti farmaci specifici.

Se il problema nasce da una patologia malformativa potrebbe essere necessario intervenire chirurgicamente.

Infezione da HPV (Papilloma virus)

Infezione da HPV (Papilloma virus)

 

L’HPV (Human Papilloma Virus) include tra le sue specifiche patologie osservabili più di cento varietà diverse di virus. La maggior parte degli HPV causa lesioni benigne, come le verruche che colpiscono la cute (di mani, piedi o viso) e i condilomi o papillomi che interessano le mucose genitali e orali. La maggior parte delle infezioni genitali da HPV regredisce spontaneamente. Una piccola quota invece, se non trattata, può evolvere lentamente verso una forma tumorale. Il tumore del collo dell’utero è infatti quasi sempre correlato alla presenza dell’HPV.

 

Che cos’è l’infezione da HPV (Papilloma virus)?

L’infezione da Papilloma virus umano agisce differentemente in base alla tipologia della patologia stessa e alla famiglia del ceppo virale con cui si entra in contatto. Generalmente, il virus si replica sfruttando le cellule della cute e delle mucose e promuovendone una crescita eccessiva (iperplasia) che provoca le tipiche formazioni: condilomi e papillomi della cute e delle mucose. Spesso queste escrescenze vengono ricoperte da uno strato di cheratina (ipercheratosi) tipica di alcune forme dell’infezione.

I tipi più pericolosi di HPV sono, tuttavia, quelli che provocano lesioni a evolutività maligna nelle vie respiratorie superiori – laringe, faringe, lingua, tonsille, palato, naso – o ai genitali maschili e femminili – glande, pene, scroto per l’uomo, perineo, vagina, utero, cervice uterina per la donna.

 

Quali sono i sintomi dell’infezione da HPV (Papilloma virus)?

I sintomi del Papilloma virus umano sono differenti tra loro a seconde della varietà di infezione. Generalmente, i segni più comuni dell’infezione sono le verruche (verruche comuni, verruche plantari, verruche genitali).

Le verruche genitali (definite condilomi) possono essere localizzate sui genitali esterni, all’interno della vagina, intorno o dentro l’ano e sul perineo (la regione cutanea posta tra la vulva e l’ano). Queste lesioni si manifestano come piccole escrescenze, a volte disposte a grappolo, dalla forma che ricorda quella di un cavolfiore. Esiste poi una nutrita storia medica di casistiche registrate in cui le lesioni sono piatte e tendono a sovrapporsi.

La maggior parte delle lesioni causate da HPV sono asintomatiche, ma in alcuni casi, le verruche possono provocare fastidio, prurito o disagio. I ceppi di HPV che provocano il cancro nelle zone genitali, non si manifestano invece attraverso i condilomi, ma con modificazioni asintomatiche a carico delle mucose genitali (tipicamente del collo uterino).

 

Quali sono le cause dell’infezione da HPV (Papilloma virus)?

L’infezione genitale da Papilloma virus umano si trasmette essenzialmente attraverso i rapporti sessuali: è infatti una delle più frequenti malattie sessualmente trasmesse. È ammesso che la trasmissione possa avvenire anche con un contatto fisico, se ci sono cellule virali attive e se sono presenti lacerazioni, tagli o abrasioni nella pelle e/o mucose. Generalmente, le infezioni più pericolose delle vie respiratorie o del cavo orale si trasmettono attraverso il sesso orale, attraverso il contatto, quindi, tra la mucosa e i genitali.

Le persone che hanno un sistema immunitario particolarmente vulnerabile sono più esposte al rischio di contagio. Con frequenza decisamente inferiore, l’infezione può essere provocata, in alcuni luoghi ove si crei promiscuità (come docce pubbliche, piscine, caserme), dal contatto con superfici in precedenza utilizzate da portatori dell’infezione.

 

Diagnosi

La diagnosi clinica di infezione da HPV viene eseguita dal medico che rileva la presenza delle tipiche lesioni.

La diagnosi delle alterazioni citologiche e/o istologiche (ossia delle cellule o dei tessuti) provocate dai ceppi di HPV potenzialmente oncogeni, viene invece ottenuta attraverso l’esecuzione del Pap Test o di test appositi per la rilevazione del DNA virale. Se necessario, si effettuano biopsie mirate a carico delle mucose genitali, sotto il controllo di un particolare strumento (il colposcopio) che permette la visualizzazione ingrandita dei tessuti esaminati.

 

Trattamenti

È possibile che le lesioni causate da HPV guariscano spontaneamente senza alcun trattamento. È bene sapere però che, anche quando le verruche scompaiono, il virus può essere ancora presente nell’organismo umano.

Le verruche cutanee possono essere trattate con soluzioni topiche a base di acido salicilico o acido tricloroacetico o con creme ad azione antivirale, oppure essere rimosse con trattamenti chirurgici locali (diatermocoagulazione, laser terapia, crioterapia).

I condilomi genitali vengono generalmente vaporizzati attraverso la diatermocoagulazione o i trattamenti laser.

Le lesioni precancerose della cervice uterina, vengono asportate con asportazioni parziali del collo dell’utero, permettendo alla donna di mantenere inalterate le capacità riproduttive.

 

Come prevenire l’infezione da HPV (Papilloma virus)?

Per evitare l’infezione da HPV è importante ricordare alcune semplici regole. Se si frequentano spazi comuni, come spogliatoi o piscine, mantenere i piedi puliti e asciutti e indossare sempre scarpe o ciabattine.

Per evitare la diffusione di verruche dalle mani alla bocca è necessario non mangiarsi le unghie.

La trasmissione dei condilomi genitali si può ridurre, diminuendo i rapporti a rischio, promiscui od occasionali e utilizzando sempre il preservativo (che permette di neutralizzare, se non tutte, le più frequenti modalità di contagio). È importante inoltre curare l’igiene personale.

Le donne sessualmente attive devono sottoporsi periodicamente alla visita ginecologica e al Pap Test, meglio se abbinato alla ricerca del DNA virale.

Da alcuni anni esiste in commercio un vaccino che protegge la cervice uterina dai ceppi più pericolosi di HPV. Studi scientifici ne hanno promosso la somministrazione alla popolazione adolescente di entrambi i sessi, per ridurre il rischio di contagio. Recenti studi sembrerebbero validare l’utilizzo del vaccino anche alla popolazione adulta o già infettata dal virus stesso.

 

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